Papa Francesco in Iraq messaggio di fratellanza e solidarietà



Questo articolo in breve

Concluso lo storico viaggio, adesso è tempo di bilanci. Papa Francesco è tornato dalla sua visita di quattro giorni in Iraq, la prima mai intrapresa da un Pontefice in questo Paese, un viaggio su cui pesavano molti rischi e incognite.



Era infatti il primo al tempo della pandemia, il primo in una grande capitale islamica come Baghdad, il primo nei territori liberati dal feroce dominio dei terroristi dell’Isis a Mosul, il primo a Ur nel luogo natale del patriarca Abramo (padre biblico delle tre religioni monoteiste), il primo nella città santa di Najaf (dove è stato ricevuto dalla massima autorità sciita, l’ayatollah Al Sistani).

Tutto si è svolto bene, senza incidenti, e il Papa è talmente soddisfatto da dichiarare: «L’Iraq resterà sempre con me, nel mio cuore». Evidentemente gli obiettivi che si poneva sono stati raggiunti. Ma quali erano? Lo spiega a Gente don Filippo Di Giacomo, autorevole vaticanista che ha commentato in diretta sui canali della Rai questo viaggio. Con lui ripercorriamo i momenti salienti della trasferta irachena del Pontefice e ricostruiamo il loro significato apostolico.

Francesco arriva a Bagdad, accolto subito in aeroporto dal primo ministro Mustafa Al Kadhimi e poi nella sua residenza dal presidente Barham Salih. «Porta il suo messaggio di tolleranza e di pace in un Paese del Medio Oriente, dove l’Occidente ha cercato di esportare la democrazia con i cacciabombardieri», ricorda don Di Giacomo, riferendosi alle due guerre del Golfo. Dopo la cacciata di Saddam Hussein nel 2003, l’Iraq ha avuto un lungo periodo di instabilità politica, aggravata dalle ripercussioni del conflitto nella vicina Siria e dalla attività terroristica dell’isis, i cui attentati si susseguono ancora: gli ultimi due sono avvenuti a Baghdad il 21 gennaio e hanno provocato 32 morti.

La sicurezza personale del Papa era la prima, terribile incognita di questo viaggio. «Ma il problema è stato risolto da un lungo lavoro preparatorio delle diplomazie», dice don Di Giacomo. «Tutti i servizi segreti e tutte le autorità arabe hanno collaborato, in modo da rendere tranquillo il viaggio».

Dopo Baghdad, Francesco va a Najaf. Il suo incontro privato con Al Sistani, che contrariamente alla tradizione si alza per riceverlo, è altamente simbolico. «Due figure ieratiche di venerabili saggi, una vestita di bianco e l’altra di nero, annullano ogni distanza e dialogano in una cornice semplice, senza insegne di potere», commenta il nostro interlocutore. «È un richiamo alla religione autentica, separata dalla politica». In Iraq i cristiani sono perseguitati: nel 2003 erano oltre un milione, oggi superano di poco i 100 mila. Perciò la dichiarazione di Al Sistani, dopo il colloquio con il Papa, è davvero epocale. «I cristiani devono vivere in pace e in sicurezza», dice il leader spirituale della comunità sciita.

La tappa successiva è Ur, patria di Àbramo, venerato da ebrei, cristiani e musulmani. Nel luogo che accomuna le confessioni Francesco partecipa a un incontro interreligioso e definisce “tradimenti della religione” l’ostilità, l’estremismo e la violenza. «Per il Pontefice l’umanità viene prima di tutto», spiega don Di Giacomo. «Nella teologia cristiana Dio privilegia l’uomo nella creazione e conclude con lui un patto di fraternità. È un concetto quasi assente nell’Islam, ma di capitale importanza per modernizzare le attuali nazioni islamiche».

Ritornato a Baghdad, il Papa celebra nella cattedrale di San Giuseppe la Messa con il rito caldeo, antica liturgia della Chiesa cattolica locale, diversa da quella romana. «È un’apertura di Francesco, paragonabile alla riforma liturgica di Paolo VI, che nel 1965 permise la celebrazione della Messa nella lingua italiana». Poi il Papa incontra a Erbil, il capoluogo del Kurdistan iracheno, le autorità locali. «I curdi non hanno ancora oggi uno Stato», dice don Di Giacomo. «Nel Medio Oriente i confini nazionali sono artificiosi, disegnati su una mappa dalle potenze occidentali nel 1916. Non tengono conto delle varie etnie, al contrario del Papa, che è attento alle minoranze».

Da Erbil Francesco si muove in elicottero fino a Mosul, ex capitale dello Stato Islamico, il califfato proclamato dall’Isis nel 2014. Da qui i terroristi sono stati cacciati nel 2017 e il Pontefice prega nella piazza delle Quattro Chiese, ridotta in macerie dai combattimenti. Poi dichiara solennemente lo scopo principale del suo viaggio: «Oggi, malgrado tutto, riaffermiamo la nostra convinzione che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra. Questa convinzione parla con voce più eloquente di quella dell’odio e della violenza; e mai potrà essere soffocata nel sangue versato da coloro che pervertono il nome di Dio, percorrendo strade di distruzione». Riassume don Di Giacomo: «Il Papa ha dimostrato che si possono stabilire relazioni fruttuose con gli altri anche nel martoriato Medio Oriente. È la base di ogni effettivo progresso».



Lascia un commento