Pietro Castellitto, figlio di Sergio Castellitto e della scrittrice Margaret Mazzantini



Quando ero piccolo ero terrorizzato dall’idea che mia madre morisse. Anche quando ero a scuola e sentivo il rumore delle ambulanze, temevo che dentro ci fosse mia madre. Percepivo che se madre fosse morta quando ero piccolo non avrei fatto nulla nella vita.



E allontanavo la paura della morte pensando a Totti: “Se c’è Totti non c’è la morte” mi dicevo». Sono parole pronunciate da Pietro Castellitto, il protagonista della serie Speravo de mori’prima, in onda su Sky Atlantic e sulla piattaforma Now, che racconta l’ultimo anno e mezzo di carriera dell’ex capitano della Roma.

Lui, il figlio di Sergio Castellitto e della scrittrice Margaret Mazzantini, «cresciuto con il poster di Totti in cameretta», interpreta proprio il campione. «Il cinema è evocazione non imitazione», dice Pietro, spiegando che Totti «rivedendosi ha scoperto dei lati del suo carattere e della sua personalità che neanche conosceva. La sfida era quella di creare una maschera che lo ricordasse, che lo evocasse e che allo stesso tempo lo stupisse». Missione compiuta.

La serie, attualmente in onda, ha ottenuto così il gradimento del Capitano che, anche per chi ne veste i panni sullo schermo, è sempre stato un mito. «Io ho passato la maggior parte delle domeniche della mia vita allo stadio, all’Olimpico, per seguire la Roma, ma Francesco Totti non l’ avevo mai conosciuto fino a quando non ho iniziato questa serie.

Quindi ringrazio chi mi ha dato questa possibilità, anche per questo motivo». Che ricordi ha di quando era piccolo? Che idea aveva di Totti? «Io ricordo che ero piccolo e lo guardavo: lui era un uomo. Riuscire ad interpretarlo è stato uno scherzo del destino, ma c’è stato anche un altro scherzo del destino durante le riprese.

Ho ritrovato un mio diario, che non trovavo più da quindici anni e il capitolo più lungo di questo diario è dedicato proprio a Totti». E cosa scriveva il Castellino bambino del suo idolo? «Lo leggo: “Faccio la collezione delle figurine Panini. Io sono della Roma e per mia fortuna nel mio primo pacchetto che ho aperto ho trovato il mitico unico Francesco -Totti, il grande gladiatore giallorosso, il mitico e ripeto unico e sublime capitano della Roma”.

In pratica ho usato tutti gli aggettivi che conoscevo. E continuavo: “Totti è qualcosa che l’umanità neanche se ci prova riesce ad inventare. E come l’inchiostro per la penna, è come le radici di un albero come la camera d’aria di un pallone. E se la carnera d’aria non c’è, il pallone non c’è.

E se Totti non c’è, la camera d’aria non c’è. E non c’è neanche il pallone. E se il pallone non c’è, il calcio non c’è. Quindi il calcio non è calcio se Totti non c’è”. Avevo nove anni quando lo scrìvevo».
Quali aspetti di Totti l’hanno colpita poi quando l’ha conosciuto?

«Quando convivi tanto con un idolo in qualche modo presumi di conoscerlo. Così, tante cose me le aspettavo. Però incontrandolo per la prima volta ho scoperto un Totti incredibilmente loquace. Io penso che per giocare così bene a pallone devi anche essere molto intelligente, avere un cervello che metabolizza i dati in maniera veloce, ma non è detto che quell’intelligenza si traduca a parole. Invece ho scoperto un Totti che tiene banco e che è molto consapevole di quello che rappresenta per un ragazzo cresciuto con lui, con il suo mito.

Lo sa e proprio per questo fa di tutto per mettere a suo agio chi ha di fronte. E una persona molto libera che, se si accorge che ci sono le premesse per divertirsi, lo fa senza alcun complesso».
Cos’ha imparato da questa esperienza professionale? «La serie è incentrata sul lato più intimo di Totti ed è stata quella la partita da vincere. Perché nessuno sa com’è Totti dentro casa e come si comporta con i propri familiari quando esce dal campo.

Uno può presumerlo, ma la realtà è sempre diversa, più sfaccettata. Quella era una zona d’ombra che nessuno conosceva e che anche a noi attori consentiva maggiore creatività. In quell’ambito, così, ho cercato di portare l’essenza di Totti, che è anzitutto ironica. E come attore mai così tanto ho percepito di migliorare e crescere, settimana dopo settimana. Tutte le scene in cui l’ironia era protagonista assoluta mi venivano più facili. Nella preparazione del personaggio ho cercato di amplificare i miei ricordi e non di aggiungere».

C’è stato un momento in cui “sperava de mori’ prima” quando era sul set? «Tutti i giorni prima di avere la colla in faccia. Per esigenze di copione avevo una barba finta ed era faticoso portarla. Per il resto sono stato fatalista: un ruolo del genere ti porta ad andare a sbattere contro un muro, perché il pubblico ognuno ha la sua idea. Totti, però, è rimasto molto soddisfatto. E credo che il parametro da seguire sia lui. Che si riconosce e si è emozionato. Questo mi fa ben sperare».

Quindi Totti ha visto tutta la serie? «Sì. Io avrei preferito che lui e Ilary la seguissero da soli, per essere più liberi. Ma dopo il primo episodio proprio loro hanno voluto che li raggiungessi e c’era anche Greta Scarano con noi. Io mi mettevo dietro di loro e cercavo di capire le loro reazioni: mi sono sembrati molto toccati, molto partecipi. Ogni volta che finiva una puntata spingevano per vederne subito un’altra».

Totti è rimasto sempre fedele a se stesso e alla maglia della Roma. Secondo lei un bambino di oggi come era lei venti anni fa quale poster potrebbe appendere al muro della propria stanza?
«No lo so. So che Francesco è un’icona assoluta. E un prototipo di sportivo come forse non ce ne saranno più: è riuscito ad esprimere la propria personalità attraverso il suo gioco. Quando penso a lui penso ad altre icone come Roger Federer o Valentino Rossi. Lui ha giocato per venticinque anni nella Roma, ma tutti i gli altri tifosi lo hanno capito e gli hanno voluto bene».



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