Gianluca Vialli come sta, dalla paura della morte alla verità sulla malattia



Ci sono domande che tutti si fanno, prima o poi, indipendentemente dall’età. Le stesse che solo i bambini hanno però il coraggio di porre ad alta voce. E così, quando qualche mese fa Nina Cattelan, anni 10, ha chiesto a papà Alessandro: «Papi, come si fa a essere felici?», lo ha spiazzato al punto da indurlo a cercare negli altri risposte che non sapeva dare a lei e neppure a se stesso.



È nato così Una semplice domanda, docushow (6 puntate dal 18 marzo, su Netflix) in cui Cattelan discute di vita e ricerca della felicità con registi (Paolo Sorrentino), conduttrici (Geppi Cucciari), attori porno, coppie votate alla castità, esponenti delle religioni monoteiste, amici, conoscenti.

Cioè con chiunque. Ma non tutti quelli che incontra rispondono davvero alla domanda della sua Nina. Il che da una parte dimostra che, potendo, si tende a sfuggirle. Dall’altra che per dare una risposta credibile in favore di telecamera a una domanda così occorre essersela già posta, e seriamente, a telecamera spenta. Come accade a chi vede vacillare una vita che pensava e sentiva felice e che viene invece ridisegnata da una diagnosi che vi fa irruzione senza chiedere il permesso.

È accaduto a Gianluca Vialli nel 2018, quando scoprì di avere un tumore al pancreas. È a quel punto che il calciatore (dal 1983 al 1992 nella Nazionale, di cui oggi è capo delegazione) inizia a farsi una domanda che diventa il filo conduttore della chiacchierata con Alessandro Cattelan che abbiamo visto in anteprima per voi: «Può esserci felicità anche nel dolore?». «Io ho paura di morire, eh. Non so quando si spegnerà la luce che cosa ci sarà dall’altra parte.

Ma in un certo senso sono anche eccitato dal poterlo scoprire», ammette Vialli con Cattelan, mentre giocano a golf («Se vuoi conoscere davvero una persona, portala su un campo da golf», sentenzia a un certo punto l’ex centravanti di Sampdoria, Juve e Chelsea).

Poi aggiunge: «Però mi rendo anche conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita. L’ansia di non poter portare a termine tutte le cose che voglio fare, il fatto di essere super eccitato da tutti i progetti che ho, è una cosa per cui mi sento molto fortunato ». Vialli rifiuta l’idea della malattia come esperienza interamente dolorosa: «La malattia non è esclusivamente sofferenza: ci sono momenti bellissimi.

La vita – e non l’ho detto io ma lo  condivido in pieno – è fatta per il 20 per cento da quello che ti succede ma per l’80 per cento dal modo in cui tu reagisci a quello che accade. E la malattia ti può insegnare molto di come sei fatto, essere anche un’opportunità.

Non dico al punto di essere grato nei confronti del cancro, eh…», specifica. Tra i cliché legati alla narrazione del tumore, Vialli rifiuta anche quello della «battaglia»: «Se facessi una battaglia contro il cancro ne uscirei probabilmente distrutto.

Lo considero, in questa fase della mia vita, un compagno di viaggio che spero prima o poi si stanchi e dica “ok, ti ho temprato, ti ho permesso di fare un percorso, adesso ti lascio tranquillo”». Gli interrogativi che il passaggio dalla condizione di atleta a quella di malato ha (im)posto a Vialli hanno a che fare anche col suo rapporto con la moglie Cathryn e le figlie Olivia e Sofia: «Mi sento molto più fragile di prima.

Cerco di insegnare loro che la felicità dipende dalla prospettiva con la quale guardi la vita, che non ti devi dare delle arie, devi ascoltare di più e parlare di meno, migliorare ogni giorno, devi aiutare gli altri. Secondo me questo è un po’ il segreto della felicità.

E soprattutto cerco di fare in modo che abbiano l’opportunità di trovare la loro vocazione. Io penso che lo scopo della vita sia proprio quello di trovare uno scopo nella vita. Quando trovi un motivo per cui vale la pena risolvere i problemi, arrabbiarti, gioire, è molto più facile provare la pulsione della felicità. Però cerco di dimostrare loro che va bene anche essere vulnerabili, piangere, essere tristi. Bisogna accettare queste emozioni, assorbirle, sapendo che poi passano. Anche perché se non sei mai triste come fai a capire quanto è bello essere felici?».



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