Gianluca Vialli la sua malattia ancora è con lui



Lo guardi, sorriso stanco ma fermo, e risenti le parole tratte da un discorso di Roosevelt, che lui declamò agli Azzurri del calcio prima della finale europea, poi vinta, contro l’Inghilterra, a luglio: «L’onore spetta all’uomo nell’arena.



L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, l’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta».

Vale a dire, la vita vera è lotta, e sofferenza. E lui non smette di lottare, anche se il nemico da quattro anni si chiama tumore al pancreas. E non è sconfitto, come ha rivelato lo stesso ex bomber di Cremonese, Samp, Juve e Chelsea, pochi giorni fa: «Sto abbastanza bene.

Non ho ancora completato il viaggio e l’ospite indesiderato è sempre con me. A volte è più presente, a volte meno. Diciamo che adesso sono in manutenzione». Insomma il male è lì, e ciclicamente si fa vivo: «Si va avanti e spero proprio che possiate sopportarmi ancora per tanti anni; ho la fortuna di avere tanti amici e tante persone che mi danno la forza e il sostegno di andare avanti. Sono fiducioso e ottimista». Lotta dunque, ancora, con alti e bassi, ma con la voglia di continuare e di esserci.

Non a caso, lo sguardo di Vialli è già rivolto ai prossimi impegni della Nazionale, ai play-off di marzo per la qualificazione ai Mondiali 2022, accanto all’amico di una vita, ora commissario tecnico azzurro, Roberto Mancini. I loro successi con la Sampdoria furono metafora dell’azzardo di sfidare e sconfiggere avversari che sembrano imbattibili. Storia simile a quella del trionfo della Nazionale agli ultimi Europei, che gli inglesi erano sicuri di avere in tasca, tanto che rivolgendosi alla coppa cantavano “It’s coming home”, “sta tornano a casa”, trasformato dagli azzurri alla fine in “It’s coming Rome”.

E in quella impresa la presenza di Vialli, motivatore, consulente, psicologo, esempio per i calciatori, è stata determinante. Lui era lì a testimoniare che non c’è avversario da cui lasciarsi intimorire. Gianluca il suo, il cancro, ormai lo chiama “compagno di viaggio”: «È un viaggio in cui bisogna avere pazienza, ma non ha senso che io non continui una vita normale. E il lavoro fa parte della vita normale». Così non si è mai fermato, Luca.

E la tenacia nell’affrontare il tumore, nel riuscire a parlarne sono la sua ennesima vittoria: «Ne avrei fatto volentieri a meno. Ma non è stato possibile. E allora l’ho considerata semplicemente una fase della mia vita dalla quale imparare qualcosa. Sapevo che era duro e difficile doverlo dire agli altri, alla mia famiglia. Non vorresti mai far soffrire le persone che ti vogliono bene. Giravo con un maglione sotto la camicia, perché gli altri non si accorgessero di nulla, per essere ancora il Vialli che conoscevano», ha raccontato all’inizio del viaggio. E alla fine la lezione più importante è lui a darla a tutti noi, stanchi ciascuno delle nostre battaglie: «La vita è fatta per il 10% di quel che ci succede, e per il 90% di come lo affrontiamo».



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