Leo Gassmann ha soccorso una ventinovenne americana aggredita a Roma e ha detto sui suoi social



A volte succede che i social diventino cassa di risonanza di questioni molto più futili di quelle che solitamente li abitano, come accade in questi giorni per una serie di storie di Leo Gassmann, figlio di Alessandro.



“Questa notte io e alcuni passanti abbiamo prestato aiuto a una ragazza americana che era stata poco prima abusata da un giovane di origine francese”, ha postato qualche giorno fa il giovane cantante, spiegando come sono andate le cose.

“Appena ho sentito le urla mi sono avvicinato e ho chiesto una mano a un paio di ragazzi che passavano da quelle parti, ma il francese era già fuggito. Abbiamo chiamato la polizia e un’ambulanza ha portato via la ragazza per accertamenti.

Se vi capita di incappare in situazione del genere non tiratevi mai indietro. Da esseri umani abbiamo il dovere di aiutare i nostri fratelli e sorelle se in difficoltà, anche se fa paura”. Più che la ricostruzione della terribile esperienza della ragazza, volutamente priva di dettagli per tutelare l’anonimato della vittima, è la riflessione di Gassmann junior sulla responsabilità e il dovere morale di ciascuno di noi ad aprire un dibattito sui social.

Tra i primi, Alessandro Gassmann, che su Twitter ha voluto esprimere tutto il suo apprezzamento per la sensibilità del figlio: “Sono un padre fortunato. Grande amore mio, fiero di te”. Mentre su Instagram, Leo, risponde ai messaggi dei follower che commentano il gesto. “Mi state scrivendo in molti in merito a ciò che è avvenuto l’altra sera. Non sono un eroe, ho fatto solo ciò che era giusto. Siete in molti ad avere delle storie da raccontare simili a quella che ho vissuto io.

Non abbiate paura, non siete soli. Aiutare il prossimo dovrebbe essere una priorità di ogni individuo. Se vi capita di notare per strada una ragazza o un ragazzo in difficoltà, non voltategli le spalle”. A ringraziare pubblicamente il giovane anche la ragazza soccorsa: un’americana di 29 anni che vive a Roma. Quando alle 4 della notte tra il 7 e l’8 maggio ha incontrato il cantante nel quartiere di Portonaccio, era appena scesa da un bus, era da sola, in lacrime, e ha raccontato a Gassmann di essere stata molestata.

Il cantante ha chiamato la polizia e un’ambulanza l’ha accompagnato al policlinico Umberto I, dove è stata rilasciata poco dopo. Sul caso indagano ora gli agenti del commissariato Salario. Non sempre i casi di violenze sessuali suscitano tanto clamore: spesso non vengono denunciati, e malgrado i casi sommersi, raccontano i dati della Direzione centrale di polizia criminale, in Italia c’è una denuncia di stupro, violenza o abuso ogni 131 minuti.

In media 11 violenze sessuali e abusi al giorno, più di 300 nuovi fascicoli aperti dalle forze dell’ordine ogni giorno. Numeri da brivido, eppure tutt’altro che vicini a rappresentare l’orrore che ancora oggi le donne vivono. A spiegare come lo stupro sia la forma di violenza più difficile da denunciare è Nadia Somma, consigliera nazionale di Di.R.e, Donne in rete contro la violenza, cui fanno capo 82 centri antiviolenza. «Nei casi di maltrattamenti nei centri antiviolenza le donne svelano questo tipo di violenza come ultima cosa, e a volte non lo fanno mai.

Ma noi sappiamo che è molto probabile che la molestia sessuale sia presente in relazioni fatte di prevaricazione e dominio». Spesso le donne che ne sono vittime non la riconoscono. «Capiscono di essere state forzate, ma non riescono a dire che quello è stupro», continua Somma. «Noi culturalmente lo associamo all’estraneo e associarlo a un uomo cui sei legata è estremamente doloroso. Spesso le donne giustificano il partner, dicendo di aver acconsentito al rapporto: ma se dico sì per evitare le botte non è consenso.

Altre volte non ne parlano per vergogna o per preservare i figli». C’è anche un altro fattore che contribuisce ad alimentare il sommerso del fenomeno: «Io vado spesso nelle scuole, e sempre più spesso se si parla di stupri viene fuori il tema di quelli di gruppo tra giovanissimi. Di solito c’entrano alcol e droghe, ma pure il fatto che tanti giovani crescono con un immaginario formato dalla visione su Web di una pornografia violenta alla quale hanno accesso fin da bambini, anche a 8 anni». Un fenomeno sempre più diffuso. «Mi sono confrontata con un’ostetrica che mi ha confermato come sia frequente, ormai, vedere nelle ragazze ferite nelle parti intime causate da pratiche violente, che fino a vent’anni fa erano una rarità».



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