Filippo Ferlazzo condannato a 24 anni per l’omicidio dell’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu



La Corte d’Assise di Macerata ha condannato Filippo Ferlazzo, 33 anni e originario di Salerno, a 24 anni di reclusione per l’omicidio volontario aggravato dell’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu, avvenuto a Civitanova Marche il 29 luglio 2022. La vittima aveva chiesto l’elemosina all’imputato e alla compagna, a cui aveva toccato un braccio: Ferlazzo lo aveva colpito con la stampella che il nigeriano usava per camminare, poi era salito sopra di lui a cavalcioni, schiacciandogli il collo e la testa.



La sentenza della Corte d’Assise di Macerata

I giudici della corte di assise di Macerata – presidente Roberto Evangelisti, a latere Federico Simonelli – hanno concesso le attenuanti generiche, equivalenti alle aggravanti, applicando così la pena massima che in questi casi è di 24 anni. Ferlazzo dovrà scontare la pena in carcere. Sul fronte del risarcimento i giudici hanno concesso una provvisionale di 350 mila euro a favore della moglie e del figlio di Alika e 40 mila euro ciascuno agli altri membri della famiglia ammessi come parti civili. L’imputato è stato invece assolto per il reato di rapina, dopo l’aggressione mortale si era ritrovato in tasca il telefono cellulare del nigeriano ucciso.

Le parole della difesa di Filippo Ferlazzo

La legale di difesa di Filippo Ferlazzo, l’avvocatessa Roberta Bizzarri, ha dichiarato che il suo assistito ha commentato la sentenza dicendo: «Ho avuto solo sei anni di sconto». Bizzarri ha aggiunto che Ferlazzo era stato preparato anche all’eventualità di una condanna all’ergastolo che nella sua mente equivale a 30 anni di reclusione e quindi, la sua è una battuta che vale per quello che vale. Sulla sentenza l’avvocato Bizzarri si è detta soddisfatta, visto che era stato chiesto il massimo della pena, ma ha precisato che occorrerà leggere le motivazioni. L’avvocatessa ha riferito di pensare al ricorso, facendo intendere però che è una decisione ancora da maturare. In sede di arringa conclusiva, l’avvocatessa aveva chiesto per il proprio assistito una struttura detentiva alternativa al carcere, ma i giudici hanno detto che ad oggi non ci sono elementi sufficienti per valutare un’uscita dal carcere.



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