Una dichiarazione provocatoria, formulata con un linguaggio incisivo e potenzialmente divisivo, ha dato avvio a un acceso dibattito interdisciplinare che coinvolge cultura, politica e libertà di espressione.
In occasione della conferenza stampa di presentazione di “Gomorra – Le Origini”, la nuova serie televisiva ambientata nell’universo narrativo che ha profondamente influenzato l’immaginario collettivo contemporaneo, Marco D’Amore ha espresso la propria opposizione a una proposta di legge che potrebbe alterare significativamente il rapporto tra narrazione artistica e rappresentazione della criminalità organizzata. Le sue affermazioni hanno rapidamente assunto rilevanza mediatica, venendo ampiamente diffuse e analizzate, in quanto toccano un tema cruciale: il confine tra narrazione e apologia mafiosa.
Il contesto normativo di riferimento è rappresentato dalla proposta di legge presentata da Fratelli d’Italia, con prima firmataria Maria Carolina Varchi, che introduce sanzioni penali per la riproposizione o la valorizzazione di comportamenti, metodi e simboli riconducibili alla mafia con intento celebrativo. Il testo legislativo include anche prodotti culturali quali serie televisive, libri e altri contenuti che potrebbero essere interpretati come forme di esaltazione del fenomeno criminale.
L’approvazione di tale norma potrebbe avere un impatto diretto su produttori, autori ed editori, delineando uno scenario inedito per l’industria audiovisiva. Si paventa il rischio di un’applicazione estensiva e discrezionale, in grado di trasformare opere di finzione e analisi sociale in potenziali reati. È su questo terreno che si inserisce la reazione di D’Amore, oggi regista della serie dopo essere stato uno dei protagonisti di “Gomorra”.
Davanti ai giornalisti, l’attore e regista ha optato per un registro provocatorio, ipotizzando paradossalmente un futuro in cui artisti e operatori culturali potrebbero incorrere in sanzioni detentive per aver narrato determinate storie. Questa dichiarazione, che coniuga ironia amara e denuncia politica, evidenzia altresì le potenziali implicazioni economiche di un’eventuale repressione giudiziaria per lo Stato, già gravato da un elevato debito pubblico.
Al di là della battuta, il messaggio è inequivocabile: si teme che una normativa concepita per contrastare l’apologia mafiosa possa, inavvertitamente, comprimere la libertà artistica, scoraggiando la rappresentazione di realtà complesse e sfaccettate. D’Amore sottolinea il valore sociale del suo operato, evidenziando come il cinema e la televisione possano assumere il ruolo di strumenti di dialogo intergenerazionale, capaci di stimolare non solo l’intelletto, ma anche una forma di empatia profonda e articolata.
Tale tematica viene ulteriormente approfondita dalle riflessioni di Roberto Saviano, citato nel corso della conferenza stampa. Secondo lo scrittore, il rischio concreto è che il confine tra narrazione, analisi e apologia rimanga ambiguo e sfumato, lasciando spazio a interpretazioni soggettive e a potenziali sanzioni penali per opere che intendono descrivere, e non glorificare, la criminalità organizzata.
In questo contesto, “Gomorra – Le Origini” assume una rilevanza che va oltre la semplice dimensione televisiva. Ambientata in un’epoca storica precedente, la serie narra il percorso umano e criminale di Pietro Savastano, mettendo in luce le dinamiche relazionali e sociali che conducono alla nascita di un boss mafioso. Un racconto che, nelle intenzioni degli autori, si prefigge di spiegare e non di giustificare, di mostrare e non di celebrare.
La chiusura affidata da D’Amore a una metafora letteraria, con il persistente richiamo alla volontà di perseverare, si configura come una dichiarazione di resistenza culturale. Nel confronto sempre più acceso tra politica e narrazione, la polemica sollevata dall’attore riporta al centro una questione di fondamentale importanza: fino a che punto lo Stato può e deve intervenire nella rappresentazione del male senza compromettere la funzione critica e illuminante dell’arte?



Add comment