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Dislessia non riconosciuta per 19 anni: “Per gli insegnanti ero solo distratta”



Oggi Silvia Lanzafame è presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Dislessia (AID) e lavora nella contabilità, ma la sua vita da studentessa è stata segnata da sfide significative. In occasione della giornata internazionale della dislessia, Silvia ha condiviso con Fanpage.it le sue esperienze scolastiche, rivelando come la sua infanzia fosse caratterizzata da difficoltà e malesseri legati all’apprendimento. “Ero la classica bambina che riceveva sempre dagli insegnanti il rimprovero di avere le capacità per fare tutto ma di non saperle sfruttare,” ha raccontato, descrivendo l’odio per la scuola e i forti mal di pancia che la accompagnavano durante le elementari. Questo disagio la portò a infrangere le regole e a scappare da scuola durante il liceo.



All’età di 19 anni, Silvia iniziò a studiare economia all’università, ma si trovò nuovamente di fronte a difficoltà. Nonostante il suo impegno, i risultati non arrivarono, portandola a una crisi di autostima. “Mamma, le maestre avevano ragione: io sono stupida, lascio gli studi,” confessò a sua madre. In quel momento, sua madre, che fino ad allora aveva rimproverato Silvia per le sue mancanze, decise di cercare una soluzione al dolore della figlia. Attraverso una ricerca su internet, scoprì per la prima volta il termine “dislessia”.

Spinta dal desiderio di aiutare Silvia, la madre la portò da uno specialista per una diagnosi. Questa visita si rivelò cruciale: “Con gli strumenti giusti, avrei potuto essere chiunque volessi,” affermò Silvia. La diagnosi le fornì una nuova consapevolezza e la motivazione per affrontare le sue difficoltà. Oggi, Silvia si impegna affinché altri bambini non vivano esperienze simili e che i genitori comprendano l’importanza di una diagnosi per i bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA).

Riflettendo sul suo approccio scolastico, Silvia ha raccontato che non fu affatto piacevole. Era etichettata come la bambina vivace ma distratta, e gli insegnanti sostenevano che non si impegnava abbastanza. “Le maestre, ai colloqui, dicevano ai miei genitori che ero brava ma che se non riuscivo, evidentemente, era perché non mi applicavo abbastanza,” ha spiegato. Questa situazione creava tensioni in casa, poiché i genitori cercavano di spronarla senza comprendere le vere ragioni delle sue difficoltà.

I compiti rappresentavano un vero e proprio incubo per Silvia. “Ricordo che li facevo spesso con i nonni, ma queste mie difficoltà hanno cambiato il mio rapporto con loro,” ha dichiarato. Nonostante l’impegno di suo nonno nel supportarla, Silvia iniziò a detestare i compiti, provando ansia e malessere al solo pensiero di doverli affrontare. A questo punto, sua madre decise di iscriverla al liceo classico, sperando che un ambiente più rigoroso potesse aiutarla. Tuttavia, questa scelta si rivelò controproducente: “Mi sentivo ancora più incapace di quanto già non mi fossi sentita,” ha raccontato.

La mancanza di una diagnosi chiara portò Silvia a rifiutare la scuola, mentre gli insegnanti continuavano a non comprendere le sue difficoltà. “Io rifiutavo la scuola e la scuola rifiutava me,” ha affermato. La frustrazione per la sua situazione si accumulava, creando ricordi dolorosi. Con una diagnosi precoce, Silvia è convinta che la sua esperienza scolastica sarebbe stata completamente diversa. “Se qualcuno si fosse un po’ impegnato per comprendermi nel profondo, avrei vissuto la scuola in maniera diversa,” ha detto.

Dopo il liceo, Silvia non abbandonò gli studi, nonostante le sue difficoltà. “Fino a quel momento le mie difficoltà sono state fonte di forte disagio e sofferenza ma anche di ambizione,” ha spiegato. Si iscrisse all’università, ma i problemi rimasero. Ricorda di aver detto a sua madre: “Sai a scuola avevano ragione, sono proprio quella bambina stupida che gli insegnanti vi dipingevano. Lascio gli studi.” Tuttavia, sua madre non si arrese e, grazie alla sua determinazione, Silvia ricevette finalmente una diagnosi di dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia.

La diagnosi cambiò radicalmente la vita di Silvia. “Quando il medico mi ha spiegato che cosa avevo e che cosa avrei potuto fare, sono rinata,” ha raccontato. Per la prima volta, si sentì libera dalla pesante etichetta di “stupida”. Tuttavia, le ansie accumulate negli anni di scuola non svanirono facilmente. Silvia ha dovuto affrontare difficoltà relazionali e comunicative, sentendosi spesso a disagio.

Il suo percorso la portò a diventare presidente dell’Associazione Italiana di Dislessia. “Io mi sono avvicinata tramite mamma all’associazione,” ha spiegato. Partecipando a un congresso nazionale, incontrò il professor Giacomo Stella, che contribuì al suo percorso di crescita. Ora, come presidente, Silvia si impegna a supportare altre famiglie e a sensibilizzare sull’importanza della diagnosi precoce.

Oggi, Silvia lavora nella contabilità e utilizza strumenti come Excel per gestire le sue attività. “Sarei persa senza i miei file Excel,” ha ammesso. Infine, ha un messaggio per le famiglie che ricevono una diagnosi di DSA per i propri figli: “Bisogna credere nei ragazzi, accompagnarli mano nella mano,” sottolineando che la diagnosi è un’opportunità per comprendere e valorizzare le potenzialità uniche di ogni bambino. Accogliere una diagnosi significa amare il proprio figlio per quello che è.



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