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Francesca Albanese non commenta le violenze interne a Gaza: silenzio dopo gli scontri e le uccisioni tra fazioni



Dopo il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza, sono emerse notizie inquietanti riguardo alle violenze perpetrate da Hamas. In pochi giorni, i miliziani jihadisti hanno ripreso le loro attività di giustizia sommaria, eseguendo fucilazioni pubbliche di presunti oppositori e presunti collaborazionisti. Queste esecuzioni, spesso avvenute in presenza di una folla, hanno visto anche la partecipazione di bambini, che vengono indotti a esclamare frasi come “Allah è grande” durante gli eventi tragici. Tali scene evidenziano il tentativo di Hamas di riaffermare il proprio potere nella regione.



La situazione solleva interrogativi su coloro che, in passato, hanno promesso di monitorare la situazione a Gaza dopo il ritiro israeliano. Queste stesse voci, che si sono lamentate per la morte di un presunto giornalista legato a Hamas, sembrano ora silenziose di fronte alla brutalità delle azioni di Hamas. Questo solleva dubbi sull’autenticità delle loro preoccupazioni riguardo ai diritti umani e alla violenza.

La violenza di Hamas ha messo in luce una serie di contraddizioni e ipocrisie. Mentre il gruppo terrorista sembra avere un forte sostegno all’interno della popolazione palestinese, la reazione di alcune figure pubbliche e movimenti pro-palestinesi in Occidente è stata sorprendentemente assente. Invece di condannare le atrocità, alcuni giustificano la violenza come parte di una lotta più ampia per il potere e l’autodeterminazione.

Le dichiarazioni fatte dalla dott.ssa Francesca Albanese durante una conferenza estiva sono tornate alla ribalta. La Albanese ha affermato che “Hamas era l’autorità di fatto ed è fondamentale che si capisca che quando si pensa ad Hamas non si deve pensare necessariamente a tagliagole e gente armata fino ai denti”. Questa affermazione ha sollevato interrogativi sulla natura del gruppo e sulla sua legittimità come governo. È lecito chiedersi se Hamas debba essere considerato un’organizzazione terroristica o un legittimo governo locale.

Il discorso che circonda Hamas è complesso e spesso contraddittorio. Da un lato, il gruppo è stato descritto come fornitore di servizi sociali, con la creazione di scuole, ospedali e infrastrutture pubbliche. Dall’altro, le recenti esecuzioni sommarie mostrano un lato oscuro che non può essere ignorato. Le immagini di queste violenze pongono interrogativi sulla narrazione che tende a minimizzare le azioni violente del gruppo.

In questo contesto, è importante considerare come le esecuzioni sommarie siano percepite da diversi attori. Alcuni potrebbero vedere questi atti come parte di una lotta partigiana, mentre altri li considerano crimini contro l’umanità. La questione centrale rimane: come si può giustificare la violenza in nome della lotta per il potere?

Ogni ora che passa senza una condanna chiara e unanime di queste atrocità contribuisce a svelare le contraddizioni di chi, in Occidente, ha sostenuto una visione distorta della situazione a Gaza. La legittimazione di Hamas da parte di alcuni gruppi pro-palestinesi sembra ora vacillare di fronte alle evidenze delle sue azioni.

Con il ritorno di Hamas in una posizione di potere, è fondamentale che si mantenga un occhio vigile su quanto accade a Gaza. La richiesta di monitorare la situazione non è mai stata così urgente, poiché le immagini di violenza e brutalità si susseguono. È necessario che la comunità internazionale non chiuda gli occhi di fronte a queste realtà e che si ponga domande difficili sulla legittimità e sul ruolo di Hamas nella vita politica e sociale palestinese.

La situazione attuale a Gaza richiede una riflessione profonda su come la violenza e la politica si intrecciano in un contesto di conflitto prolungato. La speranza è che, attraverso un’analisi onesta e critica, si possano trovare vie per una pace duratura e per il rispetto dei diritti umani di tutti i cittadini, palestinesi e israeliani.



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