Ieri, l’Unione Sindacale di Base (USB) ha organizzato manifestazioni in diverse città italiane per esprimere solidarietà al popolo palestinese. Tuttavia, la narrazione degli eventi si è sviluppata su tre piani distinti, riflettendo le diverse percezioni e reazioni della società e dei media. La copertura mediatica predominante si è concentrata sugli scontri avvenuti a Milano, in particolare alla stazione Centrale, dove un gruppo di manifestanti ha tentato di bloccare il traffico ferroviario. Le forze dell’ordine hanno risposto con cariche e lacrimogeni, e questa versione degli eventi, sostenuta da esponenti della politica di governo e dalla stampa, ha portato a una criminalizzazione delle proteste, descrivendo i partecipanti come “facinorosi” e “violenti”.
Contrariamente a questa narrazione, un secondo racconto più rappresentativo emerge dalle immagini della tangenziale Est di Roma. Qui, decine di migliaia di persone, secondo gli organizzatori circa centomila, hanno bloccato la stazione Termini e occupato la tangenziale. Gli automobilisti, intrappolati nel traffico, hanno risposto con clacson e applausi, dimostrando un segno di solidarietà che andava oltre i manifestanti stessi. La partecipazione ha coinvolto anche studenti provenienti dai licei, che si sono uniti al corteo, e commercianti che hanno esposto cartelli con scritte come “Oggi si sciopera per il popolo palestinese”. Questo aspetto della manifestazione ha rappresentato, secondo alcuni osservatori, un grande risultato, evidenziando un sostegno diffuso in città come Napoli, Genova, Torino, Bologna e Pescara.
Infine, un terzo modo di raccontare queste manifestazioni si trova nei commenti online. In questo contesto, i manifestanti sono stati etichettati come “scansafatiche” e accusati di sostenere gruppi come Hamas, o di non comprendere appieno la situazione. Alcuni commenti, provenienti da adulti, mettono in evidenza una mentalità superficiale e un pregiudizio radicato, suggerendo che in Palestina le persone verrebbero uccise per le loro abitudini occidentali, come bere alcol o avere orientamenti sessuali diversi.
In risposta a critiche come “perché non avete scioperato per l’Ucraina?” o “perché non manifestate di domenica?”, è importante ricordare che fin dall’inizio, dopo il 7 ottobre, una minoranza di giornalisti e attivisti ha cercato di raccontare la lunga storia di occupazione e violenza che precede la recente escalation del conflitto. Negli ultimi mesi, ci sono stati gruppi che hanno manifestato ogni sabato per la Palestina, spesso ignorati dai media mainstream. Lo sciopero generale ha lo scopo di creare disagio e attirare l’attenzione su un messaggio che altrimenti potrebbe non essere ascoltato. La disparità di trattamento tra le proteste per l’Ucraina e quelle per la Palestina suggerisce una triste verità: l’interesse si concentra su chi percepiamo come “vicino”, come “occidentale”.
Il Mediterraneo, un mare che ci unisce al Nord Africa e al Medio Oriente, ci ricorda che le nostre radici culturali affondano in una storia condivisa. I legami storici con civiltà come i Sumeri, gli Assiri e gli Egizi dimostrano che non siamo così distanti come potremmo pensare. Tuttavia, la nostra società appare divisa: da una parte ci sono i “bianchi occidentali”, dall’altra “tutti gli altri”, in particolare il popolo arabo.
È fondamentale riconoscere questa vicinanza e lavorare per superare i pregiudizi che ci impediscono di affrontare la realtà in modo onesto. Le manifestazioni di ieri hanno messo in luce non solo il sostegno per il popolo palestinese, ma anche le divisioni e le incomprensioni presenti nella società italiana. È necessario che il dialogo continui e che si sviluppi una maggiore comprensione reciproca, affinché le voci di protesta possano essere ascoltate e rispettate, senza essere oscurate da stereotipi e pregiudizi. Le manifestazioni, quindi, non sono solo un modo per esprimere solidarietà, ma anche un’opportunità per promuovere un cambiamento sociale e culturale più ampio, che possa unire piuttosto che dividere.



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