“Non sta a me perdonarli”. Con queste parole Paola Pellinghelli, madre del piccolo Tommaso Onofri, ha commentato la notizia della liberazione di Salvatore Raimondi, uno dei responsabili del sequestro e dell’omicidio del figlio. Tommaso, rapito e ucciso il 2 marzo 2006 a soli 18 mesi, avrebbe compiuto 21 anni il prossimo 6 settembre. La vicenda, che segnò profondamente la cronaca italiana, torna oggi a riaprire una ferita mai rimarginata.
La madre del bambino, intervistata da Mediaset, ha ricordato quei momenti di terrore che segnarono per sempre la sua vita. “Ricordo il trambusto, le urla. Mi è stato detto che a gridare era Raimondi, perché altrimenti avrei riconosciuto Alessi dall’accento”, ha spiegato Pellinghelli. “Ricordo la mia corsa nel buio, sperando di rivedere mio figlio, e poi le macchine della polizia, i carabinieri, il caos totale di un mese”.
Alla domanda se, dopo tanti anni, abbia mai pensato al perdono nei confronti di chi ha preso parte al rapimento, la risposta è stata netta: “Non ci ho mai pensato e non mi sfiora neanche l’idea. Non sta a me perdonarli. Se hanno una coscienza, dovranno fare i conti con la loro coscienza”.
Dopo la tragedia, la vita di Paola Pellinghelli ha subito un cambiamento radicale. Rimasta sola con l’altro figlio, all’epoca di otto anni, ha dovuto affrontare anni di dolore e sacrifici: “L’ho dovuto crescere da sola, fortunatamente è cresciuto bene, si è laureato, oggi ha 27 anni e la sua vita. Con tanta fatica siamo ancora qua. Vivo giorno per giorno, con innumerevoli difficoltà e con questa mancanza che mi accompagna da vent’anni”.
Il ricordo di Tommaso resta vivo, nonostante il tempo trascorso. “Lo ricordo al presente, perché Tommaso è presente comunque e lo sarà sempre”, ha aggiunto la madre. Le sue parole riflettono una dignità profonda, un dolore che non si è mai trasformato in odio, ma che resta indelebile nella quotidianità.
La liberazione di Salvatore Raimondi, già da tempo in regime di semilibertà, riporta alla memoria uno dei capitoli più bui della cronaca italiana. La vicenda del piccolo Tommaso, avvenuta nelle campagne di Parma, aveva scosso l’opinione pubblica per la brutalità e l’assurdità del gesto, lasciando una cicatrice profonda nella coscienza collettiva.
Nel corso degli anni, la madre ha più volte ribadito come la famiglia sia rimasta segnata in modo permanente da quel dramma. Se da un lato il figlio maggiore ha intrapreso un percorso di studi e di vita autonomo, dall’altro il peso dell’assenza di Tommaso resta insopportabile: una mancanza che, a distanza di quasi vent’anni, continua a segnare ogni giorno.
Il caso, tornato d’attualità con la liberazione di uno dei protagonisti, riporta l’attenzione sul tema della giustizia e della memoria. Da una parte c’è il percorso penale, con pene scontate e scarcerazioni; dall’altra il dolore delle vittime, destinato a non avere fine.
La storia di Tommaso Onofri resta uno dei simboli più tragici della vulnerabilità dell’infanzia e della crudeltà umana. Il nome del bambino continua a evocare un senso di sgomento e di impotenza, ma anche la forza di una madre che, pur devastata dal dolore, ha trovato il modo di andare avanti, sostenendo il figlio maggiore e affrontando il peso di un’assenza eterna.
Le dichiarazioni di Paola Pellinghelli, che ribadisce di non voler concedere perdono, testimoniano la complessità del percorso emotivo che segue tragedie di tale portata. Il perdono, per lei, non è una strada percorribile, perché il vero giudizio appartiene alle coscienze di chi ha commesso il crimine.
Il ritorno in libertà di Salvatore Raimondi riaccende dunque una ferita mai chiusa. Una ferita che non riguarda soltanto una famiglia, ma l’intero Paese, che in quella primavera del 2006 aveva seguito con trepidazione e dolore la vicenda del piccolo Tommaso. E che oggi, a distanza di quasi due decenni, ne ricorda il volto e la storia con la stessa emozione di allora.



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