Il concetto del “mondo al contrario” non appartiene solo alle polemiche di cronaca, ma sembra talvolta riflettersi nelle logiche delle istituzioni italiane. Un episodio recente, che coinvolge il Quirinale e i rapporti con la maggioranza di governo, ne offre un chiaro esempio.
La vicenda ha origine dalle dichiarazioni rese a una cena privata da Francesco Saverio Garofani, consigliere per la Difesa del Presidente della Repubblica e segretario del Consiglio Supremo di Difesa. Durante un incontro informale tra tifosi romanisti, Garofani – ex giornalista ed ex deputato del Partito Democratico – avrebbe espresso giudizi critici sull’attuale governo e sull’opposizione, lasciando intendere la necessità di “scossoni” politici per evitare una riconferma di Giorgia Meloni alla prossima legislatura.
Queste affermazioni, ritenute inopportune per un alto funzionario del Colle in un ruolo di garanzia istituzionale, sono diventate di dominio pubblico dopo essere state riportate dal quotidiano La Verità. Ne è nato un caso politico, con forti tensioni tra il Quirinale, Palazzo Chigi e la maggioranza. La posizione di Garofani è apparsa ancor più compromessa quando, invece di una netta smentita, ha confermato il tono delle sue parole in un’intervista al Corriere della Sera, definendole semplicemente “quattro chiacchiere fra amici”.
Nonostante le polemiche e le attese di un suo passo indietro, Garofani è rimasto saldo nel suo incarico. La dinamica istituzionale, però, ha preso una piega paradossale. Secondo una ricostruzione pubblicata da Lettera43, sito di informazione economica, a pagare le conseguenze non sarebbe stato il consigliere, ma il presunto “messaggero”. Francesco De Dominicis, responsabile della comunicazione del principale sindacato bancario FABI e presente alla stessa cena, sarebbe stato infatti costretto a dimettersi dall’incarico sindacale, sospettato di essere la fonte che ha fatto trapelare la notizia.
La FABI ha smentito ufficialmente le dimissioni, ma la sostanza della ricostruzione solleva un interrogativo di metodo: perché dovrebbe essere punito chi rivela dichiarazioni pubbliche – seppur in un contesto privato – di un alto funzionario, e non l’autore di quelle dichiarazioni, la cui imparzialità istituzionale è stata messa in discussione?
Il caso mette in luce due piani distinti. Il primo riguarda i confini del dibattito politico per figure che ricoprono ruoli tecnici e di garanzia all’interno della Presidenza della Repubblica. Il secondo tocca la trasparenza e la libertà di informazione, sollevando il dubbio che si possa innescare una caccia alle talpe per proteggere una presunta “casta” di intoccabili, in un meccanismo che inverte le normali aspettative di responsabilità.
Mentre Garofani continuerà presumibilmente a sedere al Consiglio Supremo di Difesa accanto alle massime cariche dello Stato, la vicenda lascia aperte questioni sull’etica pubblica, sulla neutralità delle istituzioni e su dove tracciare la linea tra la vita privata e la necessaria riservatezza di chi svolge funzioni di alto profilo. Un dibattito che tocca il cuore del rapporto tra potere, informazione e accountability nel sistema democratico.



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