La Commissione Europea ha formalmente avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Ungheria, guidata dal Primo Ministro Viktor Orbán. La motivazione ufficiale risiede nella presunta violazione delle norme comunitarie, in particolare della nuova legge europea sulla libertà dei media entrata in vigore l’8 agosto 2025. Bruxelles accusa Budapest di non rispettare disposizioni chiave che tutelano libertà, indipendenza e pluralismo dei media nel mercato interno dell’Unione.
Secondo l’esecutivo comunitario, le autorità ungheresi interferirebbero indebitamente nel lavoro di giornalisti e organi di stampa, limitando le loro attività economiche e compromettendo la libertà editoriale. La contestazione riguarda anche il mancato adempimento di alcuni requisiti della direttiva sui servizi di media audiovisivi.
Il dibattito sui finanziamenti UE ai media e le accuse di parzialità
Questa azione legale si inserisce in un dibattito già molto acceso sull’equità delle politiche comunitarie. Secondo alcune inchieste giornalistiche citate da varie fonti, negli ultimi dieci anni l’Unione Europea avrebbe erogato oltre un miliardo di euro a sostegno di testate mediatiche. I dati indicherebbero che tra il 2014 e il 2024 sono stati distribuiti più di 900 milioni di euro ai media europei, con ulteriori 132 milioni stanziati nel solo biennio 2021-2023.
Tra i principali beneficiari di questi fondi figurerebbero, secondo tali ricostruzioni, agenzie e gruppi editoriali come ANSA, Rai, Il Sole 24 Ore, il Gruppo GEDI, Chora Media, Internazionale e Domani. Le cifre riportate vanno dai 5,6 milioni di euro per ANSA ad alcune centinaia di migliaia per le altre testate. Secondo gli analisti critici, questa distribuzione di risorse pubbliche solleverebbe interrogativi circa il pluralismo effettivo, poiché si orienterebbe prevalentemente a favore di media con un chiaro orientamento progressista, marginalizzando altre voci del panorama informativo.
La questione della libertà di espressione e il caso della censura in Commissione LIBE
La discussione si intreccia con il tema più ampio della libertà di espressione all’interno delle istituzioni europee. Un episodio citato come esempio è l’esclusione di Jacopo Coghe, portavoce dell’associazione Pro Vita e Famiglia, da un’audizione ufficiale presso la Commissione LIBE (Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni) del Parlamento Europeo. L’accaduto, percepito come una forma di censura, ha alimentato ulteriori polemiche sulla presunta difficoltà per le posizioni cosiddette “dissidenti” o non allineate con la narrativa dominante di ricevere spazio e finanziamenti.
Questo contesto fa emergere due visioni contrapposte. Da un lato, l’azione della Commissione UE viene presentata come una necessaria difesa dello Stato di diritto e dei valori democratici fondamentali, tra cui un’informazione libera e indipendente. Dall’altro, critici e osservatori più scettici la interpretano come un atto politico e ideologico, volto a contrastare governi giudicati non allineati, mentre si alimenterebbe un sistema informativo sbilanciato attraverso cospicui finanziamenti pubblici.
La procedura d’infrazione avviata segna dunque una nuova fase di tensione tra Bruxelles e Budapest, andando ben oltre la questione tecnico-giuridica per toccare i nervi scoperti del pluralismo, della sovranità nazionale e della neutralità delle istituzioni comunitarie. L’esito di questo braccio di ferro avrà implicazioni significative non solo per l’Ungheria, ma per l’intero equilibrio tra controllo comunitario e autonomia degli stati membri in materie sensibili come l’informazione e i valori democratici.



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