Il nuovo Primo Ministro giapponese, Sanae Takaichi, ha sollevato un dibattito significativo riguardo alle politiche migratorie del Giappone, affermando che è preferibile consentire una diminuzione della popolazione piuttosto che aprire le frontiere a manodopera straniera poco qualificata. Le sue dichiarazioni evidenziano la priorità della tutela dell’identità culturale e della stabilità sociale del Giappone, rispetto a preoccupazioni economiche come la carenza di manodopera.
Questa posizione rappresenta un netto contrasto con le politiche migratorie adottate da molte nazioni occidentali, che hanno scelto di accogliere immigrati in massa per compensare il calo delle nascite. In Giappone, cresce lo scetticismo nei confronti della globalizzazione, con particolare attenzione alla salvaguardia della cultura nazionale di fronte a potenziali cambiamenti demografici.
Nel suo intervento, Takaichi ha sottolineato la necessità di riconsiderare le politiche che permettono l’ingresso di persone con culture e background completamente diversi. Ha richiamato l’attenzione sulla necessità di mantenere la coesione sociale e l’identità nazionale, affermando che il Giappone non deve trasformarsi in un melting pot indiscriminato. Takaichi ha chiarito che il suo approccio non è un invito all’isolamento, ma piuttosto un appello a una responsabilità culturale.
La visione di Takaichi si basa su tre principi fondamentali, che meritano attenzione anche nel contesto del dibattito europeo. Il primo principio è che l’identità deve essere considerata un bene collettivo. Secondo Takaichi, la nazione non è solo una struttura politica o economica, ma un insieme di valori, regole e tradizioni condivise. L’apertura indiscriminata delle frontiere a culture radicalmente diverse senza un reale percorso di integrazione potrebbe alterare l’equilibrio sociale della comunità.
Il secondo principio riguarda l’immigrazione funzionale e temporanea. Il modello giapponese accoglie lavoratori stranieri solo in risposta alle esigenze produttive e con contratti a termine. L’obiettivo non è quello di costruire una società multiculturale, ma di mantenere un equilibrio che consenta di rispondere alle necessità del mercato del lavoro senza compromettere la coesione interna. Coloro che si integrano, lavorano e rispettano le regole sono benvenuti; chi non lo fa è tenuto a tornare nel proprio Paese. Questa logica di integrazione o reimmigrazione è espressa in termini chiari e coerenti.
Il terzo principio sottolinea la sovranità e la sicurezza nazionale. Takaichi sostiene che l’immigrazione non può essere considerata un automatismo morale, ma deve essere una scelta politica sovrana. Solo lo Stato ha il diritto di decidere chi entra, per quanto tempo e a quali condizioni. Questo principio di controllo non rappresenta una chiusura, ma una forma di autodeterminazione nazionale, un concetto che in Europa è spesso frainteso o delegittimato in nome di un universalismo astratto.
Il caso giapponese dimostra che un Paese può difendere la propria identità senza rinunciare alla modernità. Il paradigma “Integrazione o ReImmigrazione” si adatta perfettamente a questa filosofia, che prevede di accogliere chi dimostra di voler far parte della comunità, senza mantenere indefinitamente chi rifiuta i valori della società ospitante.
In un contesto globale in cui si confonde accoglienza con resa culturale, il Giappone e la visione di Sanae Takaichi offrono un esempio concreto di realismo politico e rispetto dell’identità nazionale. La proposta di Takaichi potrebbe influenzare il dibattito sull’immigrazione in altre nazioni, suggerendo che la gestione dei flussi migratori deve essere affrontata con attenzione e responsabilità, tenendo conto delle specificità culturali e sociali di ciascun Paese.



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