Mia moglie è casalinga e io lavoro turni lunghissimi. Quando rientro, voglio solo rilassarmi. Ma lei mi passa subito il bambino e mi dice di tenerlo mentre fa il tiralatte e guarda la TV. Alla fine ho sbottato, l’ho affrontata. Con mia sorpresa, ha confessato: «Non ho più niente dentro. Mi sento annegare».
Sono rimasto di stucco. Non era ciò che mi aspettavo.
Pensavo avrebbe ammesso tradimenti, odio per la maternità, voglia di andarsene. Invece è scoppiata a piangere. Singhiozzi veri, strazianti, lì in corridoio mentre tenevo nostro figlio con la tutina macchiata di rigurgito. Si è accasciata a terra: «Sono esausta, Kaveh. Esausta al punto da sentirmi svanire».
Sposati da quattro anni. Nostro figlio Younes aveva sette mesi. Sì, lavoro IT massacrante, notti tardi, sempre reperibile. Ma pensavo lei ce l’avesse facile – più di me. Casa tutto giorno, no capo, traffico, Zoom. Non capivo il crollo.
L’ho aiutata ad alzarsi. Mi ha allontanato, chiusa in bagno quasi un’ora.
Quella notte veglio. La guardo dormire col bimbo sul petto, respiro sincronizzato, e realizzo: non conosco davvero sue giornate.
Mattina dopo prendo ferie personali. «Esco io tutto».
«Sul serio?» guarda come yacht offerto. «Ok col bimbo?»
«Sono suo padre» sorrido.
Parte per un’ora. Passano due. Tre.
Quarta ora panico. Messaggi no. Chiamate segreteria. Localizzatore disattivato. Strano, mai spegne.
Chiamo suocera, sorella, compagna università dall’altra città. Niente.
Ore 19 rientra, borsa panetteria, odore lavanda.
«Guidato in giro» voce calma eccessiva. «Parcheggiata lago. Silenzio. Da sempre non facevo».
Volevo urlare: «Mi hai terrorizzato!». Ma pace sul viso – prima vera da mesi – ingoio rabbia.
Quella notte, però, qualcosa rode.
La conosco. Sempre onesti. Nostra cosa.
Ora distante. Nasconde.
Non dico. Giorno dopo, pulendo camera, trovo strano.
Secondo telefono. Incastrato dietro cassettiera. Prepagato economico. Non iPhone suo.
Accendo.
No codice.
Dieci testi. Stesso numero. No nome, burner pure. Messaggi brevi.
«Stai bene?»
«Meriti di meglio».
«Non smetto pensarti».
Ultimo, due giorni fa: «Vorrei abbracciarti. Solo un minuto».
Pavimento svanito.
No urla. No lanci.
Seduto letto, telefono mano, bocca metallo.
Torna da spesa, non aspetto. Mostro telefono: «Cos’è?»
Blocca. Sorriso crolla.
«Io—Kaveh—spiego».
«Meglio».
Si siede, mani tremanti.
«Non pensi. Non fisico. Giuro».
«Parli così. Io lavoro culo, tu annegata—»
«Lo sono» scatta. «Per quello successo».
Incontrato gruppo supporto post-partum online. Contattato dopo post invisibilità, satura tatto. Solo chiacchiera. Chi non chiede nulla.
«Innocente prima» dice. «Amico sfogo. Poi complimenti dolci. Li bramavo. Qualcosa oltre pannolini, rigurgiti, isolamento».
Telefono usa e getta per non tentare reale. Sapeva sbagliato. Ma vista.
Non so piangere o urlare.
Dico solo: «E ora? Vuoi lui?»
Guarda pazza.
«No. Ricordare me stessa. Solo quello. Pensavo… non più con te».
Peggior dolore.
Giorni dopo poco parole. Turni sonno. Pasti separati. Bimbo alternati, coinquilini non sposi.
Penso partire. O farla partire. No.
Studio depressione post-partum. Rabbia post-partum. Infedeltà emotiva.
Terapista: «Gente fa stupidaggini vuota. Vuoto non cattivo. Umano».
Notte, bimbo dorme, siedo divano: «Riprova. Sul serio stavolta».
Tace. Appoggia, piange.
Consulenza. Settimanale. Insieme.
Dura. Dio, dura.
Scartiamo tutto – risentimenti, solitudine, pressioni taciute. Ammetto distacco emotivo. Lei ammette straniero romanticizzato per fuga.
Lenti, ricostruiamo.
Routine vere. Cambio orari, casa prima. Lei lavoretto remoto admin amica – basta ricordare skills oltre maternità.
Co-genitorialità non turni.
Colpo di scena.
Due mesi dopo telefono burner, cena da suocera. Suo telefono vibra. Guarda, impallidisce, esce piano.
Seguo.
Telefono, sussurra.
Sento: «Non chiamare più. Detto finito. Rispetta».
Aspetto chiuda.
«Lui?»
Sì. «Bloccato ovunque. Nuovo numero».
Respiro.
«Parlo io?»
No. «Fuori vite nostre. Gestisco».
Gestisce. Cambia numero. Esce forum. Segnala account.
Da lì, cambio visibile.
Dentro. Con me. Con noi.
Anno dopo, meglio mai.
Non perfetti. Disordinati. Stanchi.
Reali.
Check-in settimanali. 20 minuti: «Come stai davvero?». Banale, ma salva.
Lei diario. Io cucina weekend.
Litighiamo stupidaggini, pollo scongelato dimenticato. Ma fiducia. Guadagnata.
Vecchio telefono? Frantumato insieme. Cortile. Martello.
Non rabbia. Chiusura.
Imparato:
Matrimonio non rompe grande cosa.
Frattura lenta – silenzi, assunzioni, bisogni non detti.
Ma ricostruibile. Se entrambi smettono biasimi, ascoltano.
Sì, moglie emotivamente deviat. Io emotivamente assente.
Non mollato.
Più forti ora.
Se in mezzo – stanco, ferito, dubiti valore – segno: entra, non esci.
Amore a volte perdono. A volte presentarsi dopo caos: «Riprova».
Se ti ha colpito, like o condividi. Non sai chi al limite.



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