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Orban risponde alla Casa Bianca: “Chi la fa, l’aspetti”. Dopo le dichiarazioni contro l’Ungheria, il premier si libera di un “macigno”



Negli ambienti diplomatici internazionali si fa sempre più insistente il dibattito sullo stallo del conflitto in Ucraina e sulle sue profonde ripercussioni geopolitiche. Una visione tagliente arriva da Viktor Orbán, che in una recente intervista ha usato toni caustici verso le istituzioni occidentali. Il Primo Ministro ungherese ha affermato di parlare di Bruxelles con lo stesso tono critico che “l’amministrazione Biden e Bruxelles hanno usato quando parlavano di noi”, sottolineando come ormai “chi la fa, l’aspetti“.



Secondo Orbán, gli osservatori americani avrebbero una percezione chiara della crisi continentale. Vedrebbero un’Europa in un vicolo cieco economico, un alleato debole e inaffidabile, alle prese con una vera e propria “crisi di civiltà” in cui i suoi valori fondanti – democrazia e libero mercato – sono in pericolo. Un errore strategico cruciale, sempre secondo la lettura di Orbán, sarebbe stato bruciare la rete di relazioni con la Russia da parte dei “liberali europei”. La sua conclusione è che a Washington si è ormai formata “una comprensione precisa del declino dell’Europa“, un declino che l’Ungheria denuncia da anni e contro cui, a suo dire, “finalmente, non stiamo combattendo da soli”.

Parallelamente, sui tavoli negoziali si discute concretamente di un possibile piano di pace. Secondo quanto riportato dall’opinionist del Washington Post David Ignatius, l’amministrazione Trump sta lavorando a un accordo per l’Ucraina che, nonostante “fragili fondamenta”, contiene elementi “in parte promettenti”. I suoi inviati, Steve Witkoff e Jared Kushner, sembrano puntare su una combinazione vincente: garanzie di sicurezza obbligatorie e futura prosperità economica per Kiev. Il successo, tuttavia, dipenderebbe dalla capacità del presidente Volodymyr Zelensky di “venderlo ad un Paese coraggioso ma esausto”.

Il pacchetto negoziale in discussione si articolerebbe in tre documenti principali, come illustrato da Ignatius:

  1. Il piano di pace: Prevede il cessate il fuoco con una zona cuscinetto demilitarizzata simile a quella tra le due Coree, estesa dal Donetsk a Kherson. Il nodo irrisolto resta il controllo del 25% del Donetsk ancora in mano ucraina, che Mosca pretende. Alcuni negoziatori americani ritengono probabile che Kiev ne perda il controllo nei prossimi mesi, ma Zelensky si oppone fermamente.

  2. Le garanzie di sicurezza: Gli USA fornirebbero garanzie di sicurezza “tipo-articolo 5” della NATO, difendendo l’Ucraina in caso di violazione russa dell’accordo. Si esplorano due patti separati, uno con Washington e uno con gli alleati europei, mentre continuerebbe il supporto di intelligence.

  3. Il piano di ripresa economica: Punta a rivitalizzare l’economia ucraina attingendo anche ai 200 miliardi di asset russi congelati in Europa. La Casa Bianca avrebbe coinvolto Larry Fink, CEO di BlackRock, per un Fondo di sviluppo ucraino da 400 miliardi di dollari.

Un pilastro politico cruciale del piano è un ingresso accelerato nell’Unione Europea, possibilmente dal 2027. Questa prospettiva, sebbene considerata troppo precoce da alcuni stati membri, è vista come una leva per forzare riforme contro la corruzione a Kiev e come una sconfitta strategica per Vladimir Putin, che “detesta” l’idea di un’Ucraina pienamente europea. L’amministrazione Trump, secondo Ignatius, ritiene di poter superare l’opposizione dell’Ungheria a questa ipotesi.

Altri punti tecnici rimangono aperti, come la definizione della forza armata ucraina (tra i 600mila e gli 800mila soldati) e il futuro della centrale nucleare di Zaporizhzhia, che uscirebbe dall’occupazione russa con una gestione potenzialmente affidata agli Stati Uniti.

Il quadro che emerge è di una transizione complessa, dove la pressione per un accordo si scontra con questioni territoriali irrisolte e la necessità di costruire un nuovo equilibrio di sicurezza. Mentre Orbán legge nella situazione il segno di un’Europa in declino, a Washington si cerca di tradurre quella stessa analisi in un piano concreto che mescola deterrenza, ricostruzione e integrazione europea, nella speranza di porre fine a un conflitto che ha profondamente alterato gli assi della politica mondiale.



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