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Poliziotto penitenziario si toglie la vita nel parcheggio del carcere di Secondigliano: si è sparato, era vicino alla pensione



Una drammatica notizia ha scosso la città di Napoli nella mattinata di venerdì 27 giugno. Un sovrintendente della Polizia Penitenziaria, un uomo di 59 anni identificato con le iniziali P.B., ha deciso di porre fine alla propria vita nel parcheggio del carcere di Secondigliano, utilizzando presumibilmente la pistola d’ordinanza. Il tragico evento si è verificato prima che l’uomo iniziasse il suo turno di lavoro. Secondo quanto riportato, lascia una moglie e due figli.



La notizia è stata diffusa dai sindacati della Polizia Penitenziaria, profondamente colpiti dall’accaduto. Giuseppe Moretti e Ciro Auricchio dell’Uspp hanno espresso il loro dolore per la perdita del collega: “Siamo addolorati per questa tragedia: non conosciamo ancora i motivi del gesto. Era molto apprezzato dai colleghi e dai superiori per la sua abnegazione al lavoro. Il sindacato esprime profonda vicinanza alla famiglia dell’agente deceduto. Non riusciamo a spiegarci come un collega che stava per andare in pensione possa avere commesso un gesto simile”.

Anche il Consipe ha voluto esprimere il proprio cordoglio attraverso una nota ufficiale: “L’intera comunità penitenziaria è profondamente scossa. P.B. era un agente stimato e rispettato da colleghi e superiori, uomo silenzioso, riservato e sempre disponibile. Lascia nel dolore la moglie e due figli, a cui esprimiamo il nostro più sentito cordoglio e tutta la nostra vicinanza”.

La vicenda ha sollevato riflessioni sul peso psicologico che spesso grava su chi lavora nelle forze dell’ordine, in particolare in contesti difficili come quello carcerario. Tiziana Guacci, rappresentante del Sappe, ha commentato: “Un gesto che ci lascia attoniti, pieni di dolore e riflessione. Dietro quell’uniforme c’era un uomo, un servitore dello Stato, un lavoratore segnato da un carico di sofferenza che evidentemente è divenuto insostenibile. Una sofferenza silenziosa, come troppo spesso accade tra le fila di chi è chiamato ogni giorno a mantenere l’ordine e garantire la sicurezza, spesso a costo della propria salute psicofisica”.

Il sovrintendente, prossimo alla pensione, era considerato una persona rispettata e apprezzata sia dai colleghi che dai superiori. La sua dedizione al lavoro era nota a tutti, rendendo ancora più incomprensibile il gesto estremo che ha deciso di compiere. L’episodio sottolinea ancora una volta l’importanza di prestare attenzione al benessere psicologico degli operatori delle forze dell’ordine, spesso esposti a situazioni di forte stress e responsabilità.

Questo tragico evento si inserisce in un contesto più ampio che vede le condizioni lavorative degli agenti penitenziari al centro del dibattito. La pressione psicologica, le difficoltà quotidiane e la mancanza di supporto adeguato sono temi che emergono con preoccupante frequenza. I sindacati hanno più volte richiesto interventi mirati per migliorare le condizioni lavorative e fornire un sostegno concreto agli agenti.

In attesa che vengano chiariti i dettagli dell’accaduto e le eventuali motivazioni dietro questo gesto, la comunità penitenziaria si stringe attorno alla famiglia dell’agente scomparso. La moglie e i figli del sovrintendente stanno affrontando un dolore inimmaginabile, mentre colleghi e amici cercano di elaborare quanto accaduto.



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