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Una donna di Rimini muore di cancro al seno dopo una diagnosi errata: i medici non rilevarono il tumore in una mammografia del 2011



Nel gennaio del 2011, una dottoressa di Rimini, di 58 anni, si sottopose a una mammografia presso l’ospedale di Riccione, nell’ambito di una campagna regionale di screening. Il referto indicava che l’esame non mostrava anomalie e i medici rassicurarono la paziente, definendo la mammografia “normale”. Tuttavia, poco più di un anno dopo, la donna iniziò a percepire qualcosa di insolito durante un’autopalpazione al seno. Nel novembre del 2012, decise di sottoporsi nuovamente a un controllo che rivelò un carcinoma infiltrante con macrometastasi al linfonodo sentinella.



La diagnosi tardiva fu drammatica: il tumore si presentava in uno stadio avanzato e particolarmente aggressivo. La donna iniziò immediatamente la chemioterapia, seguita da un intervento chirurgico nel gennaio del 2013. Nonostante i tentativi di cura, il cancro si rivelò fatale e nel 2015 la paziente morì. Il marito, sostenendola durante tutta la malattia, decise di intraprendere un’azione legale contro l’ospedale di Riccione e l’Ausl Romagna, ritenendo che una diagnosi corretta nel 2011 avrebbe potuto salvare la vita della moglie.

Durante il processo, gli esperti hanno evidenziato che il tumore sarebbe stato rilevabile già nel gennaio del 2011. Secondo quanto riportato dai giudici, il mancato approfondimento dell’esame iniziale permise alla malattia di progredire per oltre un anno e mezzo, compromettendo gravemente le possibilità di sopravvivenza della paziente. Nelle motivazioni della sentenza si legge: “Qualora la donna il 12 gennaio 2011 fosse stata correttamente avviata al doveroso approfondimento diagnostico, probabilmente il tumore lobulare infiltrante presente alla mammella di destra sarebbe stato diagnosticato quando si trovava a uno stadio inferiore con aspettativa di sopravvivenza fino a 10 anni”.

La Corte d’Appello di Bologna, chiamata a esaminare il caso, ha confermato le responsabilità dei medici già riconosciute nel primo grado di giudizio. Tuttavia, ha ridotto l’importo del risarcimento inizialmente stabilito. In prima istanza, era stato ipotizzato che la donna avrebbe potuto vivere oltre dieci anni se il tumore fosse stato diagnosticato tempestivamente. Per questo motivo, il risarcimento era stato fissato a 2 milioni e 200mila euro. La Corte d’Appello ha invece ridimensionato questa stima, stabilendo un risarcimento definitivo di 562mila euro per il marito della donna.

Il legale del marito, Alessandro Alessandrini Marrino, ha rappresentato la famiglia durante tutto il procedimento giudiziario. L’avvocato ha sottolineato come questa vicenda metta in evidenza l’importanza cruciale della precisione diagnostica, soprattutto in contesti di screening preventivo. Errori come quello avvenuto nel caso della dottoressa di Rimini possono avere conseguenze irreversibili, non solo per i pazienti ma anche per le famiglie coinvolte.

La tragedia ha sollevato interrogativi più ampi sulla gestione dei programmi di screening e sulla necessità di garantire standard elevati nella valutazione degli esami diagnostici. La famiglia della dottoressa spera che questa vicenda possa servire da monito per evitare che altri pazienti subiscano lo stesso destino.

Il caso ha attirato l’attenzione anche dei media locali e nazionali, con molti che hanno sottolineato la lunga durata del procedimento legale: ben 14 anni sono trascorsi dal primo esame alla sentenza definitiva. Questo aspetto evidenzia le difficoltà che spesso caratterizzano i casi di malpractice medica in Italia, dove i tempi della giustizia possono essere estremamente dilatati.



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