Pietro Queirolo Palmas, ventiduenne di Genova, è tornato in Italia dopo essere stato detenuto per quattro giorni in Israele. A Fanpage.it, ha espresso la sua gioia per il rientro e ha raccontato la sua esperienza a bordo dell’imbarcazione “All In” della Global Sumud Flotilla, intercettata dalla Marina Militare israeliana. “Alle 7:00 del mattino di venerdì la barca è stata intercettata”, ha spiegato Pietro, ricordando i momenti di tensione e resistenza da parte dei partecipanti della Flotilla, che cercavano di superare il blocco marittimo imposto a Gaza.
La madre di Pietro, presente al porto di Genova durante l’abbordaggio, ha vissuto momenti di grande preoccupazione per la sorte del figlio. “L’intercettazione è stata rapida”, ha continuato Pietro, descrivendo come i soldati israeliani siano saliti a bordo, ponendo domande riguardo alla presenza di armi o dispositivi elettronici. Dopo una serie di controlli, solo alcuni militari sono rimasti sull’imbarcazione, portando poi tutti i partecipanti al porto di Ashdod.
Durante il tragitto verso il porto, Pietro ha notato un netto contrasto tra la costa israeliana e quella di Gaza: “Da una parte grattacieli, porti, gru; dall’altra invece distruzione. Sentivamo i bombardamenti su Gaza”. Una volta arrivati, ha descritto l’azione militare come “il momento più umiliante”, con i soldati che hanno usato violenza sui membri della Flotilla, mettendoli in ginocchio e accusandoli di essere terroristi.
Pietro ha raccontato di come i militari impedissero ogni forma di comunicazione tra i detenuti e di come il trattamento ricevuto fosse disumano. Durante le perquisizioni, i militari hanno confiscato oggetti personali come libri e simboli della Palestina. “Non avevamo il diritto di parola tra di noi, e se provavamo a comunicare venivamo rimproverati”, ha aggiunto. Le condizioni di detenzione erano dure, con scarsa disponibilità di acqua e limitazioni ai bisogni fisiologici.
Nella procedura giudiziaria, agli attivisti è stato chiesto di firmare tre documenti, uno dei quali dichiarava una colpevolezza che Pietro ha definito “non corrispondente alla realtà”. Dopo aver firmato, sono stati trasferiti in un carcere nel Negev, dove Pietro ha potuto riunirsi con il suo comandante, un momento che ha descritto come “bello” in un contesto altrimenti angosciante.
In cella con altri quindici italiani, Pietro ha cercato di stabilire un contatto con i prigionieri palestinesi. “Penso che sia stato in qualche modo un momento di solidarietà sia tra di noi e con i prigionieri palestinesi”, ha affermato. Tuttavia, le notti erano particolarmente difficili, con i militari che minacciavano i detenuti e li privavano del sonno. “I militari venivano in tenuta antisommossa con i fucili puntati contro le nostre teste”, ha raccontato, descrivendo la paura costante di violenze.
Un episodio significativo si è verificato quando un compagno di cella ha chiesto di vedere video relativi alla situazione a Gaza. “Per questo è stato messo in isolamento con le manette per 8 ore”, ha spiegato Pietro, evidenziando il clima di terrore e repressione all’interno del carcere.
Dopo il suo rilascio, Pietro è tornato in Italia insieme ad altri connazionali. All’aeroporto di Roma Fiumicino, ha trovato ad attenderlo la sua famiglia, inclusi la madre Sara, il padre e la sorella. “Questa non deve essere la fine ma l’inizio”, ha dichiarato, sottolineando come l’azione della Flotilla abbia avuto un impatto significativo sulle coscienze. Pietro ha esortato a proseguire le manifestazioni e a fare pressioni sul governo italiano e sulle aziende che sostengono le operazioni in Palestina.



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