Il caso di Francesco Saverio Garofani, consigliere del Presidente della Repubblica, continua a sollevare polemiche e interrogativi. Secondo un articolo di Simone Canettieri pubblicato oggi sul Corriere della Sera, emergono nuovi dettagli riguardanti alcune dichiarazioni fatte da Garofani. In particolare, il consigliere avrebbe espresso la necessità di un evento imprevisto per fermare Giorgia Meloni e il centrodestra. Nonostante le rivelazioni, il presidente Sergio Mattarella ha deciso di considerare la questione chiusa, affermando che Garofani non si dimetterà.
Tuttavia, il caso non appare affatto risolto. La situazione si complica ulteriormente per Meloni, che si trova in una posizione di vantaggio per due motivi principali. In primo luogo, l’idea di formare un nuovo listone civico, simile a un Ulivo contemporaneo, è ora compromessa. Gli ambienti della sinistra, che stavano considerando questa opzione, hanno visto svanire le loro speranze. In secondo luogo, Mattarella subisce un danno d’immagine significativo. La sua figura di presidente super partes, che dovrebbe rappresentare tutti gli italiani, è ora messa in discussione. Sebbene si presenti come un’istituzione oggettiva e distante, in realtà esercita un’influenza che va oltre il mandato previsto dalla Costituzione.
Negli ultimi anni, diversi presidenti, tra cui Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e ora Mattarella, hanno sostenuto agende politiche, il che ha portato a una crescente percezione che il Quirinale non sia completamente neutrale. La grande stampa ha spesso avallato questa visione, ma ora sembra che non basti più. Un articolo di Alessandro Da Rold su La Verità mette in evidenza come la squadra attorno al Quirinale sia composta principalmente da esponenti della vecchia sinistra della Democrazia Cristiana. Questa squadra, dopo aver trascorso sette anni al Colle, è destinata a rimanere per altri sette, accumulando un totale di quattordici anni di potere.
Questi consiglieri non solo influenzano le decisioni presidenziali, ma sono anche coloro che forniscono valutazioni, avviano comunicazioni e inviano messaggi attraverso la stampa, contribuendo a creare o distruggere coalizioni di governo. A Roma, il Quirinale è visto come il vero centro del potere, e non come un’entità super partes.
Questa situazione è ora evidente a tutti gli elettori di centrodestra e a coloro che, pur non schierati politicamente, hanno cominciato a interrogarsi sulla vicenda di Garofani. La percezione che il Quirinale non sia più un ente imparziale rende la sua posizione meno forte. Di conseguenza, questo scenario potrebbe avvantaggiare Meloni, che si trova in una posizione più favorevole rispetto a prima.
L’ex parlamentare di centrodestra Enzo Raisi ha commentato la situazione, evidenziando l’ipocrisia di chi critica un gesto goffo di un ministro durante un comizio, mentre ignora le gravi implicazioni delle dichiarazioni di un consigliere del presidente. Raisi ha affermato che è inaccettabile che un membro del governo possa auspicare, in un contesto pubblico, una crisi economica per minare la stabilità dell’esecutivo e impedire al centrodestra di nominare il prossimo presidente della Repubblica, come accaduto nel 2011.
La questione di Garofani e le sue dichiarazioni sollevano interrogativi non solo sulla sua posizione, ma anche sulla credibilità del Quirinale stesso. La figura del presidente, che dovrebbe essere un simbolo di unità e imparzialità, è ora vista con crescente scetticismo. Questo clima di incertezza potrebbe avere ripercussioni significative sulla politica italiana, in particolare per il governo di Meloni, che deve affrontare non solo le sfide interne ma anche le pressioni esterne legate alla gestione della crisi economica.



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