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Paolo Crepet interviene sul caso dei tre bambini di Palmoli



Lo psichiatra Paolo Crepet interviene sul caso dei tre bambini di Palmoli, allontanati dalla casa nei boschi. Le sue parole diventano una riflessione sulla genitorialità e sull’equilibrio tra libertà e responsabilità.



Le parole di Paolo Crepet sul caso dei bambini di Palmoli sono diventate una delle voci più forti nel dibattito che da giorni divide opinione pubblica, politica e società civile. Il noto psichiatra e sociologo ha commentato la decisione del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, che ha disposto l’allontanamento dei tre minori cresciuti in una casa isolata, priva di elettricità e servizi essenziali.

Crepet, da sempre attento alle dinamiche familiari e all’impatto della società moderna sui più piccoli, ha sottolineato la complessità del tema con una riflessione che va oltre la vicenda giudiziaria. «Separare un bambino dai genitori è un trauma enorme. Può segnare tutta la vita. E allora mi chiedo: vanno bene i genitori incollati al telefono tutto il giorno, ma non va bene chi vive libero nei boschi? Non è bosco o città. È equilibrio.»

L’equilibrio come parola chiave

“Equilibrio”: una parola semplice, ma difficile da realizzare. Secondo Crepet, la società contemporanea parla continuamente di “tutela”, “benessere”, “normalità”, ma spesso dimentica il valore più autentico della presenza. Il suo intervento invita a riflettere su come, pur circondati da comfort e tecnologia, molti bambini crescano in ambienti emotivamente vuoti, dove l’attenzione dei genitori è assorbita dagli schermi.

Lo psichiatra non difende la vita nei boschi in sé, ma un principio universale: il diritto dei bambini a vivere relazioni affettive autentiche. «Non è questione di boschi o città – spiega – ma di equilibrio. Di capacità di ascolto, di amore, di tempo dedicato. Perché un bambino che cresce senza ascolto, anche nella casa più perfetta del mondo, è un bambino che si sente solo.»

La famiglia come spazio emotivo

Crepet propone di ripensare la famiglia non come un luogo fisico, ma come uno spazio emotivo, in cui la presenza reale valga più di quella virtuale. In un passaggio del suo intervento osserva: «Difendo il concetto di famiglia come spazio emotivo, non geografico. Difendo il diritto dei bambini a sentire amore, non ad aderire a modelli preconfezionati.»

La sua analisi tocca un punto centrale: la solitudine dei bambini in una società iperconnessa. «Un bambino che cresce senza ascolto è un bambino che si sente solo. E la solitudine, quando arriva così presto, diventa un marchio», avverte Crepet, ricordando che l’amore e la presenza restano i veri fondamenti dell’educazione.

Una riflessione sulla società adulta

Le parole dello psichiatra si trasformano in un interrogativo collettivo: «Che tipo di adulti stiamo diventando? Presenti o solo presenti a metà? Connessi o solo connessi agli altri? Vivi o sopravvissuti tra notifiche e distrazioni?»

Crepet invita a un esame di coscienza collettivo, sottolineando che la tecnologia non è il vero nemico, ma il modo in cui viene usata. «La tecnologia non è il problema. Siamo noi. Un bambino non chiede comodità, chiede cuore. E questo è qualcosa che nessun cellulare potrà mai dare».

Il suo messaggio è un invito a rallentare, ad ascoltare, a riscoprire la presenza autentica nella relazione genitore-figlio. Una riflessione che va oltre il caso di Palmoli, toccando la fragilità della società contemporanea, in cui la connessione digitale ha spesso sostituito quella umana.

«Non c’è bosco che spaventi un bambino. Non c’è città che lo protegga se non sente amore. Non c’è educazione che funzioni senza presenza», conclude Crepet, ribadendo che il vero equilibrio non sta nel luogo dove si vive, ma nella qualità dei legami che si costruiscono.



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