Una donna di 57 anni, che ha lavorato come insegnante senza possedere il diploma di maturità magistrale, è stata condannata dalla Corte dei Conti del Veneto a risarcire il Ministero dell’Istruzione per un ammontare di 91.676 euro. Questa somma rappresenta il danno erariale derivante dagli stipendi percepiti per incarichi a termine e annuali durante il periodo di insegnamento, che si è esteso dal 2018 al 2023.
La situazione è emersa quando, nel febbraio 2023, la segreteria di un Istituto comprensivo di Pescantina, in provincia di Verona, ha iniziato a sollevare dubbi sulla validità del diploma della maestra, che era lì per una supplenza. Quando le è stato chiesto di presentare l’attestato di maturità, la donna ha cercato di guadagnare tempo, il che ha portato l’istituto a contattare la scuola Zamboni di Verona, dove la maestra aveva dichiarato di aver studiato.
Dall’incontro con la scuola è emerso che la donna non aveva mai conseguito il diploma di maturità. Aveva infatti presentato un’autocertificazione in cui dichiarava di aver ottenuto il titolo il 15 luglio 1988 con un voto di 37 su 60. Tuttavia, le verifiche sui registri dell’istituto hanno rivelato che non era stata ammessa all’esame di maturità. In seguito, la donna ha sostenuto di aver conseguito il diploma l’anno successivo, ma anche in quel caso il suo nome risultava tra quelli dei non ammessi.
Il 13 gennaio 2023, la maestra ha tentato un’ulteriore manovra, denunciando lo smarrimento del diploma alla dirigente scolastica. Tuttavia, la verifica dell’assenza del titolo di studio ha portato a una segnalazione alla Procura della Corte dei Conti di Venezia. L’indagine è stata avviata il 4 dicembre 2024, e nel frattempo il contratto di supplenza annuale della donna, che prevedeva 24 ore settimanali di lavoro, è stato rescisso.
La donna non ha mai presentato una memoria a sua discolpa durante l’intero processo e non si è mai costituita in giudizio davanti ai giudici contabili, il che ha lasciato le motivazioni dietro il suo comportamento poco chiare. La mancanza di una difesa formale ha contribuito alla decisione della Corte, che ha ritenuto inaccettabile l’uso di documentazione falsa per ottenere un impiego nel settore pubblico.
Questa vicenda solleva interrogativi sulla verifica dei titoli di studio nel settore dell’istruzione e sulla responsabilità delle istituzioni nel garantire che solo personale qualificato possa accedere a ruoli educativi. La questione della validità dei titoli accademici è cruciale, poiché gli insegnanti svolgono un ruolo fondamentale nella formazione delle nuove generazioni e nella trasmissione di valori e conoscenze.
Il caso ha suscitato un ampio dibattito sull’importanza della trasparenza e dell’integrità nel sistema educativo. Le scuole e le autorità competenti sono chiamate a implementare sistemi di controllo più rigorosi per prevenire situazioni simili in futuro. È essenziale che le istituzioni scolastiche verifichino accuratamente i titoli di studio presentati dai candidati, per garantire che gli studenti ricevano un’istruzione di qualità da professionisti qualificati.



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