Un esposto firmato dal generale Roberto Vannacci, ex comandante dei parà della Folgore e già a capo della missione militare italiana in Iraq, ha sollevato gravi preoccupazioni riguardo alla gestione della salute e della sicurezza del contingente militare italiano. L’esposto è stato presentato presso la Procura e la Procura militare di Roma e mette in discussione le pratiche degli Stati maggiori, evidenziando presunti gravi e ripetuti fallimenti nella protezione dei militari italiani, esposti a rischi legati all’uranio impoverito.
Nel suo documento, Vannacci denuncia che i militari italiani, composti da migliaia di uomini e donne, sono stati esposti all’uranio impoverito senza ricevere informazioni adeguate riguardo ai rischi e senza che venissero attuate misure di mitigazione. “L’uso su larga scala di uranio impoverito in Iraq sin dal 1991”, scrive il generale, “era di pubblico dominio”, sottolineando che le stime indicano un utilizzo tra le 300 e le 450 tonnellate, una quantità significativamente superiore a quella impiegata nei conflitti nei Balcani.
Vannacci riporta di aver ricevuto documenti riservati dal generale di divisione aerea Roberto Boi, che faceva parte dello staff dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, allora a capo del Comando operativo interforze. Questi documenti affermavano che “non sussistevano allo stato indicazioni e/o informazioni che attestassero come certa la presenza di uranio impoverito in Iraq”. Il generale ha anche denunciato pressioni da parte del comandante del Coi, suggerendo che ci fosse una volontà di minimizzare i rischi associati all’uranio impoverito.
Inoltre, Vannacci ha contestato le affermazioni dell’ammiraglio Cavo Dragone, il quale, nel corso di un’audizione presso la commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, aveva minimizzato i rischi collegati alle missioni in Iraq, dichiarando che duravano “tra i 4 e i 6 mesi”. Al contrario, Vannacci sostiene che le missioni erano pianificate come semestrali e spesso si prolungavano oltre tale periodo. Egli stesso ha rimandato a casa militari che erano stati in Iraq per nove mesi.
Il generale ha evidenziato di essere stato nominato solo dopo diversi mesi come datore di lavoro, il che lo rendeva responsabile della sicurezza dei militari, ma senza avere accesso a dati e analisi necessarie per redigere il Documento di valutazione dei rischi (Dvr). Ha anche fatto notare che nessun altro comandante in Iraq aveva ricevuto quella nomina e che i Dvr presentati alla commissione erano stati elaborati da soggetti privi delle competenze necessarie.
Le Procure ora dovranno decidere come procedere in merito all’esposto di Vannacci. Sul piano politico, la situazione appare complessa, con una continua negazione del problema da parte delle autorità, nonostante oltre 150 sentenze abbiano condannato il Ministero della Difesa a risarcire militari affetti da gravi malattie, come leucemie e linfomi, a causa delle contaminazioni da uranio impoverito. Secondo l’Osservatorio militare dell’ex maresciallo Domenico Leggiero, sono oltre 7.600 i malati e 375 i morti.
Il Fatto Quotidiano e la trasmissione Sono le Venti hanno richiesto interviste con Vannacci, Cavo Dragone e altri ufficiali a conoscenza dei fatti, ma hanno ricevuto risposte negative, giustificate dalle indagini in corso. Questo caso solleva interrogativi sulla trasparenza e sulla responsabilità all’interno delle forze armate italiane, in un contesto in cui la salute dei militari deve essere una priorità assoluta.



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