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Pensavo di avere un nipotino – invece ho preso un muro freddo



Contavo i giorni per conoscere il mio nipotino. Ho fatto tutte le cose da nonna: cucinare, lavorare a maglia, agitarmi per tutto. Ma quando finalmente ho allungato le braccia per prenderlo in ospedale, mia figlia si è voltata. Poi mi ha guardata e ha detto: «Sei troppo goffa, mamma…».



Prima penso frainteso. Goffa? Braccia tese, cuore in gola, colpa stanchezza. Dodici ore travaglio, dopotutto. Ma occhi suoi ghiacciati.

«Non voglio tu lo tenga ora» dice, aggiustando cappellino blu testolina senza alzare sguardo. «Sempre lasci cadere. Settimana scorsa inciampi solo scale mie».

Provo ridere. «Sandalo incastrato» dico. «Sai, sempre fretta. Mai lascerei bimbo. Dai».

No sorriso. No sguardo. Stringe bimbo al petto, gira verso finestra. Guardo genero Farid appoggio, scrolla spalle piano, armeggia tende.

Mi siedo sedia opposta, come pavimento sparito.

Non mancato appuntamento medico. Preso ferie presto per ecografie. Maglioni all’uncinetto cassetto intero, ogni sfumatura pastello. Pensavo vicine.

Mattina dopo torno ospedale con thermos zuppa calda – lenticchie limone, amata da piccola. Infermiera: riposa. Aspetto ora. Un’altra. Entro, sveglia, chiacchiera madre Farid che tiene bimbo, ninna.

«Maheen» piano, «posso prenderlo ora?»

Irrigidisce. «Non ora, mamma».

Incredula. «Lascì madre Farid».

«Più attenta» Maheen, non batte ciglio. «E onestamente, mamma, a volte opprimente. Serve spazio ora».

Opprimente?

Cresciuta mia pancia nove mesi, uscita urlando aggrappata. Vegliato febbri, cuori rotti, compiti. Opprimente? Sempre presente.

Non litigo. Annuisco, «Ok tesoro», esco stanza fantasma.

Casa, zuppa fornelli, siedo tavolo cucina, fisso scarpette all’uncinetto. Blu morbide, bottoncini perla. Piango tanto. Non forte. Non disordinato. Lacrime scivolano aspettando turno.

Settimane dopo, non migliora. Invitata una volta – scaricare spesa. Non entra.

Messaggi “come stai?”, risposte brevi. «Bene». «Stanca». «Impegnata».

Scuse. Ormoni post-partum. Stress mamma nuova. Forse opprimente lei, non sa dire. Ma fondo so spostato. Più grande umore.

Domenica pomeriggio incontro madre Farid mercato. Sempre intese. Tiene bimbo, sceglie okra.

«Cresce tanto» dico, tocco piedino minuscolo. «Ancora non tenuto davvero».

Strano sguardo. «Maheen dice non volevi».

Blocco. «Cosa?»

«Nervosa neonati, non sicura».

Stomaco giù. «No. Vero no. Detto troppo goffa».

Madre Farid confusa. «Mai detto».

Crack dentro. Non stress post-partum. Scelta. Confine costruito – senza chiacchiera, motivo – fa credere mia.

Guido casa stordita. Notte insonne.

Album foto vecchi. Maheen gelato mento. Maturità, apparecchio denti. Matrimonio, abbottono ogni asola abito, bacio fronte prima altare.

Cosa meritato?

Non litigavamo. Piccole divergenze. Pensava frugale. Io telefono troppo. Mai urla. Porte sbattute. Sempre aiutante. Reti sicurezza.

Settimana dopo messaggio:

«Ehi. Venerdì pulisci salotto? Sorella Farid visita».

Tutto. No “stai bene”, scuse, aggiornamenti bimbo.

Sì. Certo sì.

Arrivo, casa silenziosa. Mi dà aspirapolvere, va allattare dietro porta chiusa.

Pulisco posseduta. Lascio cestino porta con biglietto: «Chiama quando pronta. Mi manchi».

Settimane. Niente.

Amica Roisin – mai edulcorare – tè, vede maglioncino bimbo.

«Sai non normale, vero?» sopracciglio alzato.

Guardo manica minuscola.

«Tua figlia» sussurro.

«Sì. Ti tratta mobili» scatta. «Fatto dovere. Presente. Donna adulta ora. Vuole riscrivere storia, gelarti – sua scelta. Non stare freddo».

Notte poso ferri. Annulla spesa settimanale. Smetto controllare telefono ogni dieci minuti.

Fa male. Inferno. Ma strano, come posare valigia pesante portata dalla nascita.

Tre mesi dopo, chiamata.

Non Maheen. Farid.

«Ciao, imbarazzante» inizia. «Ma Maheen male. Non parla nessuno. Mangia poco. Bimbo piange tanto. Preoccupato».

Taccio.

«Non dice, ma vergogna» dice. «Spinta lontano, non sa riparare».

Gola stretta. «Perché me?»

«Serve mamma. Testarda ammetterlo».

Vado giorno dopo. Niente porto. Suono.

Maheen apre, occhi gonfi, capelli caos. Non parla. Fissa tanto, poi fa lato.

Dentro bimbo urla. Piatti lavello. Giocattoli divano.

«Stanca» sussurra. «Non dormo più due ore consecutive mesi. Non sapevo così. Tutti aspettano ami sempre. No».

Siedo accanto. «Hai diritto dirlo».

«Ti spinto via perché fallivo. Tu brava. Peggiorava».

Sfondato.

«Tesoro» dico, «non brava. Presente. Tutto essere mamma. Presentarsi».

Piange braccia prima volta anni.

Tengo lei, poi nipote finalmente. Mi guarda come sempre conosciuto.

Non ripara tutto notte. Ma apre porta.

Vengo due volte settimana – non comando, siedo accanto, piego panni, cambio pannolino per pisolino suo. Ricomincia testi. Piccole. «Ha sorriso oggi». «Hai vecchia ricetta?». «Ti voglio bene».

Zuppa? Porto di nuovo. Due ciotole, chiede altra.

Mesi. Bimbo cresce, gattona, regge. Giorno barcolla, dà blocco ghigno orgoglioso.

Sera Maheen foto maglioncino. «Finalmente entra. Pianto mettendolo».

Ora venerdì Giorno Nonna. Porta da me, cuociamo biscotti, giochiamo pentole padelle. Non sovrasta. Fida ora.

Ferita non svanita. Guarisce tenera, onesta. Vedo oltre figlia. Donna impara, inciampa, rialza – come me.

Pensavo maternità finiva adulto figlio. Imparato muta. Cresce quieta. Meno visibile. Non meno necessaria.

Se genitore fuori vita figlio adulto, chiedendoti se mai rientri – non inseguire, non svanire. Lascia luce veranda. Lascia trovare strada.

A volte amore restare morbida. Anche duole.

Se toccato cuore, like e condividi. Non sai chi serve oggi.



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