Siamo entrambi poco più che trentenni e siamo sposati da quando eravamo ancora all’università. Lei è una persona straordinariamente generosa, una di quelle personalità calme ma determinate, sempre pronta a esserci per gli altri. Lavora in una organizzazione no-profit durante il giorno e dedica gran parte del suo tempo libero al volontariato, collaborando con diverse realtà locali. Non è una vita ricca dal punto di vista economico, ma lo è sotto ogni altro aspetto: passione, relazioni, senso.
Da quando ha conseguito la laurea, ha sempre accarezzato l’idea di tornare a studiare. Le recenti difficoltà interne alla dirigenza del suo lavoro l’hanno spinta a prendere una decisione importante: lasciare l’impiego e iscriversi a un nuovo corso biennale appena avviato dall’università. In questo percorso sarà affiancata da un’amica conosciuta nel volontariato, che sogna di creare un’attività capace di sostenere economicamente queste stesse organizzazioni. C’è già una rete di supporto concreta e l’idea che anche mia moglie possa farne parte la entusiasma profondamente. Per lei è l’inizio di una nuova fase, e la vedo piena di speranza.
Per gran parte del nostro matrimonio sono stato io a sostenere il peso economico della famiglia. Le ho sempre detto che, se il suo lavoro non la rendeva felice, avrebbe dovuto cercare altro. Non è mai stata incostante o irresponsabile: semplicemente, ora sente il bisogno di cambiare. Questo però ha reso inevitabile una dipendenza finanziaria da parte sua.
Io lavoro tra le 40 e le 70 ore a settimana in un impiego che definire logorante sarebbe riduttivo. Quando torno a casa, preparo la cena. Nei fine settimana mi occupo delle colazioni e dei pranzi, del bucato, delle pulizie e di tutte le incombenze domestiche. Gestisco anche le finanze, pur sapendo che lei ne avrebbe le competenze. È sempre così coinvolta nei suoi impegni che, se non si tratta di un evento dei suoi gruppi, tutto il resto finisce per sfuggirle. Così pianifico, organizzo ed eseguo.
Già ai tempi dell’università avevo avuto problemi di salute, e negli ultimi due anni sono tornati a farsi sentire. In casa spesso lascia oggetti ovunque, non butta la spazzatura, accumula piatti. Con le mie condizioni attuali, tenere il passo durante la settimana è diventato estenuante. Di conseguenza, i miei fine settimana non sono più un momento di recupero, ma solo un’estensione del lavoro. Nel frattempo, tra eventi e organizzazione, lei esce con il suo gruppo a socializzare tre o quattro sere a settimana, rientrando spesso molto tardi.
Ne abbiamo parlato più volte, nel corso degli anni. Ma nulla cambia davvero. Sa che alla fine ci penserò io. Sa che dire di sentirsi sopraffatta è sufficiente a chiudere il discorso.
E io sono stanco. Profondamente stanco. E anche solo.
Nonostante tutto, continuerò a prepararle il caffè come piace a lei ogni mattina. Cucinerò i suoi piatti preferiti. Controllerò che il suo portapillole settimanale sia sempre pronto. Non smetterò di amarla.
Ma so anche questo: quando avrà concluso il suo percorso, quando sarà indipendente e stabile, potrà avere quasi tutto di me. Non però ogni singolo gesto. Il caffè potrà farselo da sola. I piatti dovranno finire nel lavandino.
Perché non posso continuare così per tutta la vita.



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