Alici contaminate da istamina, ritirati numerosi lotti



Questo articolo in breve



Panini, insalate e pizza preparati con conserva di tonno Il tonno in scatola può essere causa di intossicazioni, anche se è stato ottenuto da pesce conservato in modo ottimale in tutte le fasi dopo la cattura e trasformato in maniera appropriata, se viene contaminato, successivamente all’apertura, da batteri che producono ammine biogene. Questo può avvenire per scarse pratiche igieniche successive all’apertura o per contaminazione crociata con altri alimenti, dove la presenza dei batteri è ininfl uente mancando i precursori, come ad esempio con la maionese spesso impiegata per comporre i panini. In un documento dell’aprile 2002 del Dipartimento per la salute dello stato Victoria, Australia, si riportano i risultati di uno studio di stabilità del tonno avviato in seguito ad episodi di sospetta sindrome sgombroide per consumo di panini preparati con conserva di tonno. Si dimostrò che livelli importanti di istamina e cadaverina erano stati prodotti a seguito di brevi periodi di mantenimento a +17°C. Inoltre l’indagine su campioni di sandwich di tonno indicò un’elevata contaminazione batterica, segno evidente di manipolazione non igienica delle preparazioni. Un episodio comprendente due casi di lieve sindrome sgombroide si verifi cò a Milano nel 2003 per consumo di pizza al tonno. Fu appurato che nella pizzeria, d’abitudine, dopo l’apertura della scatola di conserva (di circa 3 kg) il tonno era travasato in un altro contenitore, addizionato di olio, mantenuto a temperatura ambiente durante l’orario di lavoro per diversi giorni e utilizzato fi no ad esaurimento. I risultati relativi alle analisi effettuate sull’avanzo di tonno sospetto confermarono la presenza dell’ammina biogena in quantità tale da poter causare i sintomi riferiti (1700 e 7180 mg/k) e indicarono un’evidente contaminazione con grande incidenza di batteri della Famiglia delle Enterobacteriaceae, la cui presenza non era compatibile con il trattamento di sterilizzazione, e l’assenza di altri batteri responsabili di tossinfezione alimentare compatibili con l’anamnesi. La successiva identifi cazione dei ceppi di Enterobacteriaceae dimostrò la prevalenza di Morganella morganii, che costituiva il 50% dei ceppi identifi cati. Sulla base dei rilievi ispettivi, dell’esame delle procedure adottate nella pizzeria e delle prove di laboratorio, si era concluso che la contaminazione del tonno era avvenuta molto probabilmente tramite le verdure utilizzate (aglio, rucola, cipolla, peperoni e zucchine) lavate in modo insuffi ciente, quindi per una contaminazione crociata causata da pessime pratiche di lavorazione. Un’esperienza analoga venne riportata nel rapporto 1999 del Laboratorio Cantonale del Cantone Ticino. In un campione di tonno, prelevato da una scatola aperta in un esercizio pubblico a seguito della segnalazione di una leggera intossicazione da istamina diagnosticata in ospedale, per consumo di panino al tonno, fu ritrovata una quantità di istamina pari a 4355 mg/kg. Si constatò che il tonno veniva conservato dal gestore nella scatola aperta a temperatura ambiente. In tale rapporto si denunciava che ogni anno erano segnalati diversi episodi di intossicazione alimentare da istamina dopo consumo di panini, insalate, pizze al tonno, causati presumibilmente da istamina formatasi nel tonno di quelle latte o vaschette aperte, che nei bar e nei ristoranti vengono spesso conservate per tempi più o meno prolungati a temperature non idonee. Nel Laboratorio Cantonale furono eseguiti esperimenti di inoculazione di tonno conservato con piccole quantità di tonno avariato, con l’obiettivo di riprodurre la produzione di istamina nel tonno in scatola simulando diverse condizioni favorenti. La produzione di istamina fu dimostrata nei campioni mantenuti a temperatura ambiente con livelli che superavano i 500 mg/kg dopo 10 e 2 giorni, secondo la quota inoculata. I casi si sono ripetuti negli anni successivi, sempre per tonno di confezioni aperte. In un caso di intossicazione avvenuto in Canada nel 2003 dopo consumo di un’insalata di tonno, si determinò nel pasto una concentrazione di istamina di 350 p.p.m. mentre nel tonno in scatola dello stesso lotto la quantità di istamina era solo di 10 p.p.m.. Si ipotizzò che la scatola fosse stata aperta parecchi giorni prima ed utilizzata nel corso di alcuni giorni; l’indagine evidenziò che dopo la preparazione di 6-12 insalate al giorno, il contenitore era riposto nuovamente in frigorifero ma che era prassi consolidata aggiungere il contenuto di una nuova scatola di conserva di tonno agli avanzi non utilizzati. Gli autori ritennero quindi altamente probabile che la causa fosse l’esito di un’impropria gestione del tonno in scatola piuttosto che una scorretta gestione del pesce prima dell’inscatolamento. Un documento del Consumer Council di Hong Kong ha riportato che nelle scatole aperte di tonno, esenti da istamina, i livelli dell’ammina si alzano rapidamente a seguito di abusi termici: dopo 6 ore a 33°C i livelli superano i 200 mg/kg. Tra le raccomandazioni si evidenzia quella di tenere separate nel frigorifero le scatole aperte dai cibi crudi. Altre segnalazioni di intossicazioni per consumo di sandwich contenenti tonno sono presenti in letteratura, ma non corredate dell’analisi sull’alimento coinvolto. Anche una recente indagine in Taiwan ha rilevato in sandwich di tonno concentrazioni superiori al valore guida U.S. FDA di 50 mg/kg ed elevata presenza di coliformi e E. coli; poiché il tonno utilizzato era ottenuto da conserve commerciali, la fonte più probabile di batteri produttori di istamina è stata ritenuta derivare dalla preparazione dei panini; i batteri isolati (Raoultella planticola e R. ornithinolytica) sono noti come forti produttori di istamina. L’attenzione a queste preparazioni contenenti conserva di tonno è considerato in modo speciale da U.S. FDA che richiede un piano HACCP specifi co per insalate di tonno e sandwich di tonno per controllare pericoli quali la sgombrotossina, come riportato anche nei documenti dello Stato dell’Oregon.

Altre specie ittiche coinvolte non comprese nelle sei famiglie a rischio Il pesce spada (Xiphias gladius) non è tra le specie delle famiglie considerate a rischio di istamina, ma fu causa di un episodio di intossicazione collettiva ben documentato che coinvolse 20 marinai francesi nel 1996 a seguito al consumo di pesce spada affumicato in confezioni sottovuoto da 400 g; l’analisi di nove confezioni integre dello stesso lotto evidenziò concentrazioni di istamina da 2030 a 4750 p.p.m. e alte conte batteriche. L’inchiesta veterinaria permise di risalire alla causa: un blackout elettrico aveva parzialmente causato lo scongelamento del prodotto fi nito; parte di questo, stimato non decongelato, era stato messo in vendita e fornito alla Marina. Un’intossicazione con 43 vittime è stata descritta in Taiwan per consumo di pesce spada in origine congelato; i fi letti del pesce sospetto contenevano da 85,9 a 293.7 mg/100 g di istamina. Specie simili come il marlin (Makaira spp.) sono considerate a rischio da U.S. FDA e da Canadian Food Inspection Agency e inserite nelle avvertenze per i consumatori. Segnalazioni di elevati valori di AB e istamina (oltre i livelli di 50 mg/kg) e casi di intossicazione sono stati segnalati in marlin commercializzato in Taiwan.

Il salmone è stato sospettato essere la causa di numerosi episodi di sindrome sgombroide in Gran Bretagna, ma solo in un caso i resti del pasto contenevano livelli di istamina leggermente alti (51 mg/kg). Una certa produzione di istamina e AB è stata riportata in salmone fresco confezionato in MAP e in salmone affumicato a freddo affettato, confezionato sottovuoto e conservato a +4°/+6°C, ma le quantità trovate non sono state ritenute pericolose. Tuttavia il salmone rosso (Oncorhynchus nerka) è stato coinvolto in episodi di intossicazione. Tra le altre specie ittiche responsabili di sindrome sgombroide si segnala il salmone occidentale australiano (Arripis truttaceus), un pesce marino della famiglia Arripidae, che nonostante il nome non appartiene ai salmonidi; numerosi altri pesci sono implicati, specialmente se trasformati in paste o salse fermentate.

La maggior parte delle persone non presenta alcun problema con l’assunzione dei cibi. Una piccola percentuale di persone, invece, una volta introdotti alcuni alimenti, presenta disturbi. Si parla di persone affette da allergia o intolleranza alimentare. I due termini non sono sinonimi, ma identificano due condizioni cliniche diverse. Le allergie alimentari sono reazioni avverse agli alimenti su base immunologica: un alimento, normalmente innocuo per la maggior parte delle persone, viene riconosciuto come “invasore” dal nostro sistema immunitario, che reagisce innescando una complessa risposta anticorpale ed infiammatoria. Le intolleranze alimentari, invece, sono tutte quelle reazioni avverse al cibo in cui è coinvolto il metabolismo. Possono essere: • di tipo enzimatico (ad es. intolleranza al lattosio, fruttosio e/o sorbitolo, glutine-celiachia); • di tipo farmacologico (ad esempio le reazioni alle amine vasoattive o agli additivi contenuti in alcuni alimenti quali cioccolato, fragole, nocciole, arachidi, ecc.); • di tipo indefinito (meccanismi non del tutto chiariti). Consigli alimentari: allergie alimentari Il trattamento alimentare nei pazienti affetti da allergia alimentare risulta alquanto complesso. Una volta avuto conferma attraverso l’anamnesi di una sicura storia allergica familiare e/o personale, il primo passo consiste nell’effettuare i test allergici per individuare gli alimenti indesiderati. Si procede con una dieta che consiste nell’esclusione dell’alimento individuato attraverso il test. Un secondo tipo di approccio con dieta, in alternativa o di affiancamento a quella di esclusione, è quella ipoanallergica, che consiste nell’eliminare periodicamente gli alimenti allergizzanti, ossia quei cibi che danno frequentemente reazioni allergiche. Questa dieta è utilizzata quando la clinica depone in modo evidente per allergia alimentare, ma si ha scarso aiuto dai test allergici effettuati e dalle indicazioni che fornisce il paziente. Consigli alimentari: intolleranze alimentari Pi ù difficile è l’approccio alle intolleranze alimentari. In queste situazioni, fatta eccezione per alcu ne intolleranze ben precise (quella al latte e quel – la permanente al glutine: celiachia) non esistono test specifici che trovino attualmente fondamento scientifico. L’unico approccio pertanto possibile è quello mediante la dieta di esclusione degli alimenti individuati come sospetti o mediante una dieta che cerchi di limitare l’assunzione di alimenti ricchi o li – beratori di istamina, uno dei meccanismi implicati nelle intolleranze alimentari.

La sindrome del colon irritabile o dell’intestino irritabile (IBS) è uno dei disturbi più frequenti dell’intestino. Questo disordine gastrointestinale, che si manifesta in caso di assenza di una specifica malattia organica, ha come sintomi più caratteristici: • dolore addominale; • alternanza tra stipsi e diarrea; • diarrea cronica senza dolore. Consigli alimentari Come regola generale i pazienti affetti da colon irritabile possono mangiare di tutto cercando di capire se esiste una relazione tra l’assunzione di qualche alimento e l’eventuale peggioramento di alcuni dei sintomi lamentati. Questi alimenti possono pertanto essere esclusi temporaneamente dalla dieta per valutare gli eventuali benefici e reintrodotti successivamente e progressivamente. In questo senso, utile può essere la compilazione di un diario alimentare in cui correlare i disturbi con l’ingestione di determinati alimenti. Esistono alcuni alimenti che più frequentemente possono favorire alcuni sintomi dell’IBS tra cui: • latte e derivati, lo yogurt è più facilmente tollerato; • alimenti grassi (in particolare se presente diarrea), come fritti, carni grasse, salse ricche di panna, sughi, pastine; • cibi che possono contribuire alla produzione di gas come fagioli, piselli, soia, lenticchie, cavoli, ravanelli, rape, cipolle, broccoli, cavolfiori, cetrioli, crauti, eccessive quantità di prodotti a base di grano o di frutta; • legumi; • alcol e caffeina; • bibite gassate; • cibi molto salati come insaccati, dadi, alimenti “già pronti”; • uso eccessivo delle spezie; • marmellate;



Lascia un commento