Intervento al cuore senza bisturi: accade a Torino, è la prima volta al mondo



Un paziente di 64 anni colpito da pseudo-aneurisma al ventricolo sinistro è stato operato con un successo grazie a una tecnica rivoluzionaria, che non necessita di anestesia e chirugia tradizionale. L’operazione, eseguita dall’equipe di emodinamica dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso, ha conquistato il primo posto come miglior caso clinico al congresso della Società Italiana di Cardiologia.



L’Emodinamica e la Cardiologia dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso hanno salvato la vita a una paziente di 64 anni “chiudendo un foro all’interno del cuore con una molletta adattata per il caso specifico, scongiurando così il rischio di una emorragia fatale”. Il tutto senza usare il bisturi. “Nella letteratura scientifica mondiale ad oggi non ci sono casi clinici risolti in questo modo con una chiusura, eseguita tutta per via percutanea (senza chirurgia tradizionale), di uno pseudo aneurisma (una raccolta di sangue che si forma tra due strati di tessuto) post chirurgico del ventricolo sinistro del cuore di una paziente. Possiamo dire che è una prima mondiale”, ha spiegato all’Adnkronos Salute Carlo Cernetti, direttore della Cardiologia del Ca’ Foncello che ha eseguito l’intervento.

Il caso clinico, che sarà presto pubblicato, ha anche primeggiato a livello nazionale, vincendo la competizione scientifica tra tutte le emodinamiche italiane che si svolge ogni anno al congresso nazionale Gise. “Nessuno aveva mai provato a coagulare uno pseudo aneurisma post chirurgico al ventricolo sinistro, una raccolta di sangue che si forma tra due strati di tessuto, una complicanza piuttosto rara che si può presentare dopo un intervento chirurgico – ha aggiungo Cernetti – raggiungendo il cuore partendo dalla gamba, attraverso l’arteria femorale, esclusivamente con un sondino di due millimetri. Inoltre il paziente assumeva elevati immunosoppressori che rendono i tessuti fragili. Quello del paziente che abbiamo operato – ha concluso – è un caso clinico con condizioni davvero fuori dall’ordinario. Abbiamo lavorato in team e ora però sta bene”.

Il cuore è una pompa provvista di quattro camere: due piccole camere superiori, denominate “atri” (atrio destro e atrio sinistro) e due camere inferiori, più grandi e potenti, denominate “ventricoli” (ventricolo destro e ventricolo sinistro). Nel cuore adulto normale, la parte destra e sinistra sono totalmente separate da una parete tissutale. Normalmente, il sangue povero di ossigeno fluisce dal corpo nel cuore attraverso l’atrio destro, per poi riempire il ventricolo destro. Quando il cuore batte, questo sangue viene pompato attraverso l’arteria polmonare fino ai polmoni, dove viene filtrato e riceve ossigeno. Dai polmoni, il sangue, ora ricco di ossigeno, entra nel cuore attraverso l’atrio sinistro. Quindi, esso riempie il ventricolo sinistro e viene pompato attraverso l’aorta in tutto il corpo, per fornire ossigeno a tutti gli organi e alle cellule. Dopo aver circolato in tutto il corpo, il sangue si impoverisce di ossigeno e ritorna al cuore.

Quando è presente il forame ovale pervio (PFO), il sangue povero di ossigeno può passare direttamente dall’atrio destro all’atrio sinistro esculdendo il circolo polmonare e mescolandosi con il sangue ricco di ossigeno. I polmoni non solo forniscono ossigeno al sangue, ma funzionano anche da filtro. Nel cuore normale (senza PFO), un coagulo di sangue proveniente dall’organismo verrebbe filtrato e fermato nei polmoni. Invece, in un cuore affetto da forame ovale pervio, il coagulo potrebbe passare dal lato destro al lato sinistro del cuore, entrando direttamente nel flusso sanguigno con il rischio di raggiungere il cervello e causare un ictus. Quali sono i sintomi del forame ovale pervio? La gravità dei sintomi dipende dalle dimensioni del forame ovale pervio. Spesso il forame ovale pervio  non causa sintomi e passa inosservato. Talvolta la quantità di sangue che attraversa il forame ovale pervio  è così elevata da aggravare il lavoro del cuore che deve fornire sangue ossigenato all’organismo, causando affaticamento nel paziente.

Come si riduce il rischio di ictus nei pazienti affetti da forame ovale pervio ? Vi sono diverse opzioni terapeutiche per ridurre il rischio di ictus nei pazienti affetti da forame ovale pervio e il trattamento deve essere personalizzato in base alla valutazione del paziente. Il proprio medico identifica la migliore opzione terapeutica; comunque, esistono alcuni approcci standard. Un’opzione è la terapia farmacologica. Un’altra opzione è la chiusura del forame ovale pervio. Il forame ovale pervio (PFO) può essere chiuso ricorrendo a uno dei seguenti approcci: n Chirurgia a cuore aperto n Chiusura mediante dispositivo di occlusione durante un intervento percutaneo  Qual è la giusta opzione terapeutica? Ogni persona è diversa dalle altre. Il medico è la migliore fonte per conoscere le opzioni terapeutiche adeguate ed ottenere la cura migliore. È necessario consultare un medico e seguirne i consigli. È opportuno sapere che il forame ovale pervio  può comportare sintomi sgradevoli e un maggiore rischio per la salute. Tuttavia, con la dovuta cura, è generalmente possibile gestirlo con un trattamento farmacologico o mediante chiusura.

In che cosa consiste un intervento percutaneo? Un intervento percutaneo è un’opzione terapeutica minimamente invasiva, praticabile su alcuni pazienti. L’intervento consiste in una piccola incisione, generalmente a livello inguinale, e nell’inserimento di un tubicino, chiamato catetere, per navigare attraverso i vasi sanguigni fino al raggiungimento del sito dell’intervento, ovvero all’interno del cuore. Nei pazienti affetti da forame ovale pervio (PFO), il medico guida il dispositivo attraverso il catetere per chiudere il PFO. Una volta posizionato il dispositivo nel PFO, il medico ne studierà attentamente la posizione mediante sistemi di imaging cardiaco. Una volta trovata una posizione ottimale, il dispositivo viene rilasciato per restare nel cuore permanentemente. Il catetere viene rimosso e l’intervento è concluso. L’intervento in sé ha una durata di circa una-due ore e si svolge in un laboratorio di cateterizzazione cardiaca, nel quale si eseguono numerosi interventi non chirurgici minimamente invasivi. Durante la procedura viene somministrato dell’anestetico, in modo da non far avvertire alcun disagio significativo al paziente.



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