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Perché altrimenti ci sarebbe da alzare gli occhi al cielo e invocare un aiuto divino, mentre si scorgerà la sagoma della Vecchia Signora. E anche perché comunque, e a prescindere da Madame, c’è poi da allungare (eventualmente) almeno un’opzione concreta sulla zona Champions. Perché è arrivato il momento, il suo momento, e ora come allora val la pena di rimettersi in gioco. Perché c’è persino uno spiraglio per credere in altro: ad esempio nella classifica cannonieri. E perché è chiaro che, sommato tutto, non può finire adesso, il 3 dicembre: il «Ciro» d’Italia è uno scugnizzo che attira in sé le speranze d’un calcio soffocato da marziani che procedono imperterriti verso una dimensione spaziale e adesso rimane lui, principalmente lui, inequivocabilmente Dries Mertens – in arte Ciro – per lasciarsi una speranza, piccola o grande che sia, in quest’universo in bianco & nero che oscurerebbe il futuro se in Atalanta-Napoli non dovesse pensarci lui ad illuminare la nottata.



CHE MEDIA. Sette reti in campionato, tre in Champions, una voracità che lascia sgomenti, una media extra large e persino superiore (e nettamente) a quella accennata all’inizio della sua annata fantastica, i trentaquattro gol del 2016-2017, in cui a questo punto della stagione s’era fermato a sei (divisione equa tra l’Italia e l’Europa). E invece un anno fa, sull’onda anomala che ancora lo trascinava, era andato oltre: dieci in serie A, tre nel Vecchio Continente, prima di rallentare fatalmente, perché l’acido lattico gli tolse qualcosa e (probabilmente) il Mondiale contribuì a frenare l’inconscio.

CENTENARIO. Mertens è l’uomo del fresco centenario (doppietta alla Stella Rossa), è il sesto attaccante di tutti i tempi, gliene mancano tre per agganciare Vojak, quattro per affiancare Cavani, «appena» ventuno per afferrare Hamsik, la missione specialissima che ha sussurrato, sorridendo, nell’orecchio del proprio capitano, dopo essere stato beneficiato dall’assist, mercoledì sera, in quella magìa che ha spalancato verso lo spareggio di Anfield ed ha tranquillizzato però pure pensando alla trasferta di Bergamo, una chanches per provare a cancellare l’amarezza del pareggio di domenica scorsa con il Chievo. Meno ventuno da Hamsik, si può fare… «Perché se resto ancora un po’ di tempo allora può anche darsi che ci riesca».

RECORDMAN. Atalanta-Napoli è lo spartiacque per provare a lasciarne (almeno) una dalla Juventus a una distanza che abbia qualcosa di umano è quindi un’occasione per spruzzare ancora reale o apparente interesse sulla lotta per lo scudetto (quello, nel caso, poi si vedrà), ma è pure un esamino piccolo-piccolo per un attaccante grande-grande in Europa, dove è riuscito a realizzarsi capocannoniere del Napoli (20 gol lui e Cavani ormai è superato e solo Hamsik che sta a sedici ma ormai fa il regista e Insigne che sta a tredici restano come concorrenti), ma è pure il bomber di Champions (però Insigne è staccato di un gol). Però qui un po’ a tutti, Juventus esclusa, serve il Ciro d’Italia…

E se fosse l’Euro Napoli, non ci stupiremmo: esistono gerarchie, s’avvertono e però non si vedono, nom sembrano codificate (ancora), e potrebbero germogliare stasera, sublimando un’idea di gioco divenuta forte, autorevole e quasi rassicurante. E’ andata bene, anzi benissimo con il Liverpool: nacque lì l’idea, difesa a quattro ma basculante, con la fase di uscita che la trasforma a tre, e poi avanti gli altri, quelli che ormai sono divenuti un’abitudine e non una filastrocca, quelli che ci hanno riprovato con il Psg – sia all’andata che al ritorno – e poi mercoledì con la Stella Rossa di Belgrado.

RITOCCHINO. Il codice-Ancelotti adesso esiste, ha avuto bisogno di un periodo fisiologico per smontare la vecchia impalcatura, anche dal punto di mista mentale, soprattutto da quello, e poi ha saputo introdursi nel cervello con morbidi passaggi: si può fare quattro, quattro e fantasia, con due scugnizzi lì davanti, dopo aver provato con Milik e aver trovato esuberanza e imprevedibilità con il tandem tascabile. Ma non è mai successo che questo Napoli da esportazione venisse piantato in campionato: forse perché sono mancate le avversarie contro le quali addobbarsi o semplicemente perché c’è stata l’epoca del turn-over, che resta ancora praticabile ma che può essere spalmata diversamente in questo mese in cui non mancheranno certe le opportunità per dare spazio all’organico.

ECCO ALBIOL. Prima che Albiol si arrenda ce ne vuole e infatti non è successo neppure stavolta, dopo aver sofferto per quella contusione che mercoledì sera l’ha costretto ad uscire alla fine del primo tempo: un po’ di lavoro mirato, chiaramente, con lo staff medico e una speranza, sempre viva, di poter salire sull’aereo per Bergamo. Check in effettuato a Capodichino, ora va tentato all’Azzurri d’Italia: la convocazione, esplicitamente, annuncia l’abilità ad essere della nottata, a sistemarsi in mezzo, al fianco di Koulibaly, regista della linea difensiva, dove a destra dovrebbe (dovrebbe!) giocare Maksimovic e a sinistra ci andrebbe Mario Rui.

I SOLITI, ORMAI. Gli altri sarebbero gli stessi che sono andati a sfidare la Stella Rossa e che hanno trasmesso certezze: Callejon a destra, nel suo regno, Allan ed Hamsik nel mezzo, e quel genietto di Fabian Ruiz sulla corsia mancina, per fare da equilibratore e anche da equilibrista, un po’ largo e un po’ no, mentre Insigne e Mertens gli chiederanno di entrare dentro al campo oppure di ampliarlo. Ma questi sono dettagli tattici, che appartengono persino al passato, archiviato con la ceralacca nella rifinitura: al mattino, quando ci sono le notturne, Ancelotti si limita al risveglio muscolare – niente allenamento – propedeutico alla chiacchierata per fornire gli ultimi suggerimenti. Ascolterà anche Albiol.

Per tutta la settimana il chiodo fisso del clan nerazzurro è stato questo: cancellare la sconfitta e soprattutto la brutta prestazione fornite ad Empoli.   Concetto ribadito di nuovo ieri da Gasperini in conferenza stampa: «Brucia ancora il passo falso di settimana scorsa, ma sono certo che contro il Napoli rivedremo la vera Atalanta. Ovvio che gli uomini di Ancellotti siano i favoriti, però fin qui siamo sempre riusciti ad impegnarli seriamente e pure abbiamo fatto risultato. Per arrivarci anche questa volta dovremo ovviamente giocare al meglio, migliorare la fase difensiva rispetto ad Empoli ed essere cinici in quella offensiva. Nessuno dimentica che il Napoli sia secondo solo alla Juventus, che Ancellotti stia concretizzando un altro ottimo exploit, ma con l’aiuto del nostro pubblico dobbiamo crederci fino in fondo esprimendoci al top delle nostre potenzialità».
obiettivo. Gianluca Mancini sarà di nuovo titolare e avrà un’ulteriore possibilità di dimostrare quanto bravo sia, soprattutto avendo di fronte avversari di spessore: «Se sarò della partita – ha detto in settimana – io ed i miei compagni daremo tutto non solo per rimediare alla sconfitta di Empoli, ma soprattutto per rilanciarci in una zona della classifica alla quale aspiriamo da tempo».
Dunque questa sera all’Atleti Azzurri d’Italia il Napoli troverà un avversario tosto. Per quanto concerne la formazione saranno in campo dal 1’ Mancini, Palomino e Rigoni, con quest’ultimo atteso ad una prestazione finalmente eccellente.  L’amico geniale, va da sé, ha ventitré anni e non ci ha messo praticamente nulla a capire come vanno certe cose, nel Napoli: è entrato con il Parma, si è ripresentato con il Liverpool e poi a Udine, quando il destino ha scelto per Verdi (mettendolo fuori causa), s’è impadronito dalla scena, un gol e un dominio della corsia, per dimostrare che la vita è varia. L’amico geniale, in arte Fabian Ruiz, è arrivato come interno, quasi trequartista, forse mezzala, anzi anche rifinitore, poi ha cominciato nel centrocampo a tre da mediano di destra (per calciare con il sinistro, andando dentro al campo) e quando Ancelotti ha dovuto riscrivere il Napoli, ha pensato ancora a lui: esterno al posto di Callejon oppure di Zielinski, più del secondo che del primo, a dire il vero, con ruoli che si sono invertiti.

IL COLPO. Fabian Ruiz è il primo colpo dell’era Ancelotti: l’ha voluto Cristiano Giuntoli, che lo ha seguito a lungo, e poi quando la scelta sull’allenatore è stata ufficiale, breve chiacchierata per scoprire una curiosa convergenza di opinione. Fabian Ruiz era una tentazione anche di Ancelotti, che aveva avuto modo di studiarlo dopo che Davide, suo figlio, di stanza a Siviglia, gli aveva suggerito di dargli un’occhiata, perché il ragazzo prometteva e tanto. E allora, succede tutto in fretta, al lunedì sera Ancelotti è a casa De Laurentiis, per cena e accordo virtuale (con tanto di selfie) e al martedì Giuntoli «sequestra» i manager di Fabian Ruiz in un albergo nei pressi della stazione Termini: trattativa lunghissima, estenuante, che dura un paio di giorni.

TRENTA E LODE. Fabian Ruiz è costato trenta milioni di euro, è stato l’innesto più impegnativo di un mercato di prospettiva ed egualmente dispendioso (venticinque milioni per Verdi, altrettanti per Meret): il Napoli si è catapultato in Spagna ripetutamente, ha lasciato che ci andasse Giuntoli o uno dei suoi inviati speciali, poi ha giocato d’anticipo, ha fatto valere – dopo aver ricevuto il sì dal centrocampista – l’opportunità concessa dalla clausola rescissoria ed ha aspettato che il talento esplodesse.

UOMO OVUNQUE. Ancelotti gli ha ritagliato uno spazio che sembra quasi tutto suo, sulla fascia di sinistra, però non gli ha imposto limiti: faccia ciò che richiede lo spartito, ma anche quello che vuole. A Udine ha aperto la partita, a Marassi, nel pantano, ha provveduto ad avviare la rimonta: segna solo in trasferta, almeno sino ad ora, e non dev’essere semplicemente una questione di statistica o un caso. L’amico geniale del Napoli, l’amabile intruso del centrocampo (Callejon ci sta da cinque anni, Allan da tre, Hamsik da dodici, solo lui è fresco di investitura) ha l’occhio lungo…

Insuperabile e insostituibile, leggero nelle sue «folate» offensive, sereno nel rincorrere l’inerzia di questa stagione. C’è sempre e le gioca tutte, Kalidou Koulibaly, che non avverte la fatica del tempo, degli impegni che s’accavallano, degli avversari che (invano) provano a sorprenderlo. Una costante, un riferimento tenace, una guida per i compagni e per l’allenatore, che a lui non rinuncia mai. Diciotto gare da titolare, diciannove con quella di questa sera, contro l’Atalanta, l’ennesima chance per esaltarsi. Numeri da record per il calciatore più utilizzato da Ancelotti in questo primo scorcio di stagione.

INSOSTITUIBILE. Difficile chiedergli di farsi da parte, di sedersi per rifiatare, di starsene dietro le quinte prima di ricominciare. Koulibaly è insostituibile, ha collezionato 1620 minuti, senza saltarne neppure uno, divorando questa prima parte di stagione. Lo ha fatto con la sua strapotenza fisica, con quell’eleganza comune a pochi, con la lucidità con la quale ferma tutti, anche l’imprendibile Mbappé, con quell’impulso al gol che, spesso, lo spinge ben oltre il centrocampo alla ricerca di fortuna, di una rete che presto tornerà ad essere abitudine.

INSUPERABILE. Le rotazioni lo sfiorano appena, così come gli avversari. Chi ha coraggio prova a sfidarlo, chi lo conosce bene cambia subito idea. Tende ad andare altrove. A superarlo in velocità c’aveva provato Mbappé, in Champions, calcolando male intenzione e tempi dello sprint. Koulibaly l’ha portato sull’esterno, in scivolata gli ha sradicato palla, è ripartito con serenità disarmante. Una diapositiva del suo talento, per il quale il Manchester United (e non solo) sarebbe disposto a fare follie, ma anche della sua semplicità d’azione, della tranquillità estrema con la quale agisce senza mai affannarsi, stancandosi il necessario, mai sforzandosi per gesti naturali, che gli appartengono.
Ma l’insaziabile Koulibaly non s’accontenta di fermare gli altri, ecco perché quando può se ne scappa dal proprio recinto alla scoperta di felicità inedita. L’ultimo gol è storico, l’ha realizzato con la Juventus allo Stadium, ma da allora s’è fermato e vorrebbe presto riassaporare certe emozioni. Con la Stella Rossa lo ha sfiorato, di testa, su assist di Callejon, concludendo un’azione che aveva lui stesso avviato. Ci riproverà in futuro, già a partire da questa sera, perché essere giganti vuol (anche) dire non accontentarsi mai.

Centonovantanove in campionato tra cui quella, indimenticabile (maledizione) del 29 ottobre 2014: Atalanta-Napoli 1-1 ma il fotogramma di un’azione, che poi sarebbe un momento, è rimasto lì. Partita stregata, durante l’epoca di Benitez, Atalanta in vantaggio con German Denis e poi secondo tempo all’assalto degli azzurri: Ghoulam salta tutti, a sinistra, la mette in mezzo, non ci arriva nessuno, solo Callejon sul secondo palo, sarà a trenta centimetri dalla linea bianca e ha la porta spalancata. Pof, sinistro dolce che diventa amarissimo, perché la palla finisce incredibilmente sulla traversa. Duecentosettantré partite per Josè Maria Callejon, e stasera diventeranno, quasi sicuramente, 274, il che vorrà dire avvicinare Gramaglia, che è a quota 275, e in campionato agganciare Ronzo, poi mettersi nella scia di Girardo, Castellini e Zurlini. E così si dimentica quella dell’ottobre del 2014.

Peccato che la “tegola” chiamata Chriches abbia deformato un po’ il quadro generale, ma per tutti gli altri (lungodegenti) sembra oramai arrivato definitivamente al capolinea il tempo delle tribolazioni. Prima Ghoulam, poi Meret e, dulcis in fundo, Younes fra i convocati (a Bergamo per lui la prima volta). Il ritorno di quelli che attendono da troppo tempo un raggio di sole sincero, uno spicchio di campo tutto per loro: dopo aver penato a dismisura, chi per mesi, chi addirittura per anni. D’altro canto la ricomparsa dei tre, pressoché concomitante, va logicamente a coincidere con la certezza d’essersi in un certo qual modo rafforzati in vista dell’imminente finestra di mercato invernale. E se la consistenza di Ghoulam è da tempo arcinota, per quanto riguarda gli altri due arriverà il tempo di conferme e rassicurazioni.

LA BATOSTA. Dicevamo di Younes, cominciando col precisare che se Meret aveva fatto solo capolino in ritiro prima d’infortunarsi, sul tedesco d’origini libanesi, invece, il sipario non s’era mai aperto. Stroncato sul nascere il suo (tardivo) slancio verso il colore azzurro, allorché nello scorso giugno venne meno il tendine d’Achille della gamba sinistra durante un allenamento col personal trainer. La cosa singolare è che la notizia trapelò in un modo alquanto bizzarro, cioè da una “soffiata” di Enrico Preziosi, presidente del Genoa, allora interessato ad assicurarsi le prestazioni dell’esterno con formula transitoria.
BARAONDA. L’infortunio arrivò puntuale ad azzerare di colpo tutto ciò che s’era fatto in primavera per ricomporre un legame segnato già in partenza da colpi di scena, ripensamenti, retromarce e ritorni sui propri passi. E sì, perché il figliuol prodigo Amin, prelevato a parametro zero dall’Ajax (con tanto d’accordo firmato all’inizio dell’anno fino al 2023), dopo breve apparizione in città, si dileguò letteralmente, sino a far perdere le proprie tracce (adducendo a scusante motivazioni familiari non meglio precisate). Ipotesi, illazioni, accuse si susseguirono ed accavallarono, tanto che Younes non ne uscì per niente bene: sia agli occhi della nuova società (e d’uno stizzito De Laurentiis), che della vecchia. Dai Lancieri fu addirittura messo fuori rosa nel mese di marzo dopo aver rifiutato di sostituire un compagno.

RICOMPOSIZIONE. Il tutto a scandire i tempi d’un periodo nerissimo, dal quale riemerse in maniera graduale, facendo pace dapprima con se stesso e poi riabbracciando definitivamente la causa azzurra (smentendo accordi paralleli, vedi Wolfsburg). Quando tutto sembrava a posto e lui pronto ad iniziare la nuova avventura, ecco la ciliegina sulla torta, rappresentata da quel tendine saltato in prossimità del ritiro. Ma poi ha lavorato sodo per tornare a posto, lanciando a ripetizione segnali d’apprezzamento, dopo aver riscoperto posti, luoghi e persone valutati con approssimazione. Ora è parte integrante del gruppo, dopo cinque mesi pronto ad offrire un contributo sicuramente degno d’interesse e curiosità. Fra quanto? Presto, molto presto.

Ecco una breve lista che potrebbe risultare utile ai fini delle ricerche:

  1. Portogallo con Rádio e Televisão de Portugal;
  2. Svizzera con Schweizer Radio und Fernsehen;
  3. Turchia con Turkish Radio and Television Corporation;
  4. Serbia con Radio-televizija Srbije;
  5. Paesi Bassi con Sanoma Media Netherlands;
  6. Paraguay con Sistema Nacional De Television;
  7. Slovacchia con Slovenská Televízia;
  8. Suriname con Surinaamse Televisie Stichting;
  9. Repubblica Ceca con Ceská Televize;
  10. Svezia con Modern Times Group.

DOVE VEDERE ATALANTA – NAPOLI IN TV

Per vedere Atalanta Napoli in TV hai bisogno di un abbonamento Sky con il pacchetto Sky Calcio. Se soddisfi questo requisito, la gara sarà visibile con ampio pre partita e post partita su Sky Sport HD e Sky Sport Serie A, canale 202.

Nel caso in cui non fossi un abbonato Sky purtroppo non potrai vedere la partita in TV ma puoi sempre usufruire di alcuni servizi alternativi per vedere Atalanta Napoli in streaming. Altrimenti puoi approfittare dell’occasione per sottoscrivere un abbonamento Sky.

DOVE VEDERE Atalanta Napoli IN STREAMING

Il match Atalanta Napoli sarà trasmesso anche in streaming su diverse piattaforme, tutte rigorosamente di Sky. Anche qui se avete un abbonamento Sky potete utilizzare l’applicazione SkyGo (gratuita) che permette la visione del match anche in streaming. SkyGo infatti permette di vedere su PC, Smartphone, Tablet e non solo tutti i programmi Sky sfruttando il proprio abbonamento di casa.

La curiosità del campionato tutto è di capire quale sarà la reazione del Napoli dopo il +11 della Juventus, in virtù del vistoso successo ottenuto ieri a Firenze. E affrontare l’Atalanta, solitamente ostica a casa sua (anche se quest’anno ha già perso due incontri, pareggiata uno e vinti tre), non sarà certamente la prospettiva più idonea per immaginare che il precedente distacco da Madame non aumenti ancora. Ma Carlo Ancelotti non è uomo da arrendersi così facilmente e sta studiando da giorni la soluzione migliore per tornarsene dallo stadio Atleti Azzurri d’Italia con un risultato importante e carico di tre punti. Le statistiche raccontano che gli azzurri hanno vinto il 45% delle partite di Serie A giocate contro l’Atalanta (42 su 94, comprese le ultime due), mentre sono 25 le sconfitte e 27 i pareggi a completare il quadro.

Gran parte delle speranze azzurre vengono riposte nel bomber, Lorenzo Insigne, che ha nell’Atalanta una formazione contro la quale non ha mai avuto troppa fortuna. Tra le squadre affrontate almeno cinque volte in A, quella orobica è l’unica formazione contro cui l’attaccante del Napoli non ha mai trovato il gol (dieci le presenze). Ma il vero amuleto per don Carlo arriva dalla Spagna ed è Fabian Ruiz. E’ prevedibile che domani sera possa essere schierato dal primo minuto, cosa che quest’anno in campionato si è verificata soltanto tre volte, con due vittorie (Parma ed Empoli) e un pareggio (la Roma), poi tre volte è subentrato ed ha aiutato concretamente il Napoli a vincere in trasferta (contro Udinese e Genoa) con altrettanti gol segnati, e una sconfitta, a Torino contro la Juventus, quando Ancelotti lo mandò in campo a venti minuti dal termine e con il risultato ormai compromesso.
Fabian Ruiz è per Ancelotti anche l’uomo della Champions League, avendole giocate tutte e cinque, con due vittorie e tre pareggi per gli azzurri. Domani a Bergamo è molto probabile che giochi la sua quarta partita da titolare, con Carlo Ancelotti che sceglierà se schierarlo a sinistra oppure a destra in luogo di Callejon, nell’auspicio che possa essere decisivo nella sua prima volta da titolare in una gara di trasferta in Serie A.

Ancelotti, invece, aspetta definitive informazioni dallo staff medico per capire quali sono le possibilità di recupero di Raul Albiol, uscito dal match contro la Stella Rossa con una distorsione alla caviglia sinistra. Contro un attacco poderoso come quello orobico (25 i gol segnati dai bergamaschi), ci sarà bisogno di fisicità per contrastare le incursioni dei difensori, che hanno realizzato finora ben dieci gol: l’Atalanta è la squadra con il reparto arretrato che ne ha segnati di più in campionato.
Di contro il Napoli, è invece una delle tre formazioni di A a non aver ancora segnato con giocatori del reparto difensivo. Prende sempre più consistenza l’ipotesi che sia Nikola Maksimovic il sostituto di Albiol, anche per l’apporto che riesce a dare sulle palle inattive: il vantaggio di Marek Hamsik contro la Stella Rossa è nato proprio da una sua provvidenziale spizzata di testa.
Nella rifinitura odierna, che precederà il viaggio a Bergamo, Carlo Ancelotti deciderà anche in merito a un paio di ballottaggi. Innanzitutto sul settore destro, con Malcuit che contende il posto a Hysaj, e l’opzione Zielinski sul lato destro del centrocampo a quattro, per dare un po’ di respiro a Callejon. Sembra da escludere, invece, che possano essere apportate novità alla zona centrale del campo. Fino a questo punto della stagione, la coppia formata da Allan e Hamsik è stata quella che ha fornito le maggiori garanzie in assoluto.

Toloi no e Barrow in forse fino all’ultimo. L’allenamento di ieri in casa Atalanta ha confermato il pessimismo che aleggiava sul recupero del difensore brasiliano Rafael Toloi mentre resta sempre in dubbio Musa Barrow che ha un problema all’occhio ma pare in miglioramento e quindi una decisione sarà presa oggi a ridosso delle convocazioni. L’infortunio del numero 2 degli orobici è arrivato domenica scorsa sul campo di Empoli a una manciata di secondi dalla fine del primo tempo, staccando di testa per anticipare Caputo, su un cross lungo, Toloi ha sentito fastidio nella zona posteriore della coscia e ha lasciato il campo nell’intervallo. In settimana la situazione è stata monitorata giorno per giorno, quello che sembrava uno stiramento in realtà è un problema molto più lieve ma trattandosi di una zona dove c’è già una vecchia cicatrice è importante non rischiare nulla. Via libera dunque al difensore cresciuto nella Fiorentina, Gianluca Mancini, il classe 1996 di Pontedera ha già offerto un ottimo rendimento nelle gare in cui è mancato Andrea Masiello e ora tornerà in campo nella zona di destra del terzetto di Gian Piero Gasperini davanti a Berisha con Palomino in mezzo e Masiello a sinistra.

L’altro grande assente della partita sarà Josip Ilicic, l’Atalanta ha fatto ricorso contro la squalifica di due giornate inflitta dopo il rosso di Empoli e una decisione è attesa nei primi giorni della prossima settimana per capire se a Udine si potrà contare o meno sullo sloveno. Contro il Napoli tutto lascia pensare che ci possa essere la grande occasione di rilancio per Emiliano Rigoni, il numero 24 argentino è rimasto ai box quasi interamente nelle sfide contro Chievo, Parma, Bologna, Inter ed Empoli con la squadra che ha inanellato quattro vittorie di fila prima del clamoroso harakiri in Toscana. Le altre opzioni per la sua sostituzione, al momento decisamente più improbabili, sono Pasalic (in questo caso Freuler giocherebbe più alto), Pessina (alla Cristante) e pure Hateboer (nel tridente con Castagne sulla linea di centrocampo) e una decisione definitiva è attesa per le prossime ore con Gasperini che parla in conferenza stampa oggi alle 13.30. L’Atalanta con i partenopei cerca un altro risultato importante contro una big del campionato: finora i nerazzurri contro le squadre che stanno davanti in classifica hanno fatto sempre bella figura. Il 4-1 all’Inter, il 3-0 al Parma, il 3-3 di Roma e il 2-2 di Milano con i rossoneri sono risultati prestigiosi per una classifica che è buona ma non scintillante solo per colpa di alcuni momenti molto negativi che hanno visto la Dea perdere contro squadre nettamente inferiori.

Non è per nulla vero che forma e sostanza siano sempre la stessa cosa, altrimenti non esisterebbe Aurelio De Laurentiis. Quando lo senti parlare in pubblico, con gli eccessi e le sparate populiste, molto egocentriche, sembra egli stesso un attore dei suoi cinepanettoni, la maschera del presidente facoltoso e rissoso da teatro biscardiano. Poi osservi il rigore imprenditoriale e ti rendi conto che l’uomo è accorto, capace, persino raffinato nella strategia.

Sceglie i collaboratori come pochi sanno fare nel nostro calcio. E lo fa con continuità strabiliante. Fateci caso: in dieci anni è passato da Mazzarri a Benitez, da Sarri ad Ancelotti senza mai perdere consistenza e risultati. Anzi, migliorandoli anno dopo anno, con la soddisfazione nel mezzo di vincere due Coppe Italia e di essere diventato una presenza fissa in Champions. Il colpo Carletto, in estate, è stata una giocata da campione. Passando al campo, si sosteneva che il segreto del Napoli fosse Cavani, ed è uscito senza rimpianti. Poi si è detto che la partenza di Higuain avrebbe impedito di restare al vertice, così non è stato. Per questo motivo, se a fine stagione dovesse dare l’addio Mertens o quel Koulibaly che mezza Europa vuole – Manchester United in testa – si troverebbe una soluzione alternativa.

Anche sul mercato De Laurentiis ha cambiato molto. C’è stato Pierpaolo Marino, quindi Riccardo Bigon, ora il bravo Cristiano Giuntoli. Ma come per allenatori e giocatori, il comune denominatore è rimasto lui. Alla fine della giostra la firma sui contratti è soltanto sua. Mi raccontano delle lunghe maratone negli uffici ai Parioli, di intere giornate consumate per un accordo, fosse per una clausola sull’immagine tv o fosse per la macchina a noleggio da dare al nuovo acquisto. Tutto in accordo con Andrea Chiavelli, il braccio destro in Filmauro l’unica persona dell’universo cui De Laurentiis lascia (in concessione) le chiavi della cassaforte. In questo processo di espansione, tra sceneggiate nei ritiri estivi e motociclette inforcate al volo davanti alle telecamere, l’imprenditore romano ha costruito il ciclo più competitivo per durata nella storia del Napoli, superiore per lunghezza a quello unico e irripetibile di Diego Armando Maradona. Il club è arrivato a fatturare oltre 200 milioni all’anno, al livello delle due milanesi, una cifra impensabile quando – 14 anni fa, il 6 settembre 2004 – De Laurentiis prese il Napoli dal tribunale, senza palloni né mute per allenarsi. Con una piazza che aveva a lungo invocato Gaucci.

La Serie C, la promozione in B nell’anno della Juve, il consolidamento ai vertici della Serie A. Nella classifica degli ultimi cinque campionati, il Napoli per punti fatti è secondo alla sola Juventus, che appartiene tuttavia a un altro mondo e a un’altra categoria. Dietro al presidente sudato e furibondo, smodato e irriguardoso, si nasconde un imprenditore determinato, moderno, che ha colto al meglio le potenzialità del calcio e che vorrebbe allargare ancora le entrate in Cina o in America, sfruttando uno dei club più amati all’estero. Lui sostiene di ispirarsi al cinema, ma anche qui scopri che il pallone è diventata la principale attività da parecchio tempo, almeno dall’inizio della crisi delle pellicole. È la contraddizione perenne di De Laurentiis, il suo predicare male e razzolare benissimo, un’arte che ne ha fatto un pilastro in Lega calcio e che ha esteso al Bari del figlio Luigi. Da sempre mi colpisce il doppio aspetto dell’industriale Aurelio, erede perfetto, in questo, di una famiglia capace di produrre Napoli milionaria, di dare al cinema italiano alcuni dei suoi più grandi capolavori. Specie nella commedia dell’arte. Si recita in un modo, si vive in un altro.



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