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Le prime considerazioni di Walter Mazzarri su Milan-Toro nascono spontanee. Non serve la domanda per iniziare da Gigi Radice, il giocatore rossonero dei tre scudetti e di una Coppa dei Campioni e il tecnico granata dello scudetto ‘76: «E’ giusto, doveroso partire dall’omaggio a quello che è stato il più grande allenatore della storia del Toro – la celebrazione del tecnico toscano – Io ero giovane, ma lo ricordo come una leggenda, è stato un innovatore, uno di quelli che hanno contribuito a cambiare il gioco del calcio. Mi sembra il minimo rivolgere sentite condoglianze alla sua famiglia che ne sentirà la mancanza. Questo è un giorno triste, per il nostro mondo».



E di Radice sarà rispettata la memoria anche questa sera nell’ambito di una gara tra chi vuole radicarsi in zona Champions e chi mantenere un piede in Europa League. Sarà un confronto tra un allenatore esperto e un giovane col Milan nel sangue: Mazzarri a casa di Gattuso. E Iago Falque a giocarsi un derby personale con Suso: fatto di rientri e palloni calciati ad arco col mancino. «Sono due giocatori simili, con caratteristiche in comune – prosegue l’ex del Watford – Assieme al mio staff abbiamo studiato a dovere i movimenti del milanista, sappiamo cosa fare, per affrontarlo».
Evita invece il confronto tra Belotti e Higuain, il tecnico granata: «Sarà Milan contro Torino, non Belotti contro Higuain: è un paragone che non voglio fare, tra i due c’è una differenza di età che li distanzia molto». Con il Gallo, nella sfida di San Siro è intanto prevedibile possa giocare Iago. Con la mediana composta dai larghi De Silvestri e Ansaldi e in mezzo il trio Meité-Rincon-Baselli. Un undici che impone la rinuncia a Soriano e Zaza. «In Coppa Italia qualche difficoltà l’hanno avuta tutti. Zaza qualche volte ha giocato bene, altre meno bene e a volte peggio. Lo sa anche lui: può fare meglio, lo sa. Pensava di venire e giocare subito, ma con lui ho parlato, non deve pensare se gioca dall’inizio, cinque o dieci minuti. Perché se poi entri dalla panchina e sei un po’ deluso ci sta che fai peggio. Poi per ruolo e caratteristiche non sempre la squadra lo aiuta, quando entra. O lui si adatta alla squadra o tutti si devono adattare a lui. Se il collettivo si comporterà in un certo modo, comunque, anche lui farà meglio».

E’ meglio, rispetto all’ultimo appuntamento, dovrà fare un Toro che ha passato il turno di Coppa, ma ignorato l’indice di gradimento in tema di bontà del gioco. «Contro l’Alto Adige li ho cambiati quasi tutti, non è stato semplice, per chi ha giocato. Anche a Napoli, con una bella rosa, mi era capitato di usarne dieci diversi e non era stato agevole riproporre certi meccanismi. Adesso si apre un altro capitolo, contro il Milan voglio risposte immediate. I rossoneri in casa hanno perso contro la Juve, ne hanno pareggiata una (Atalanta, ndr), e poi hanno sempre vinto. Sono in emergenza, ok, ma in campo ci saranno pur sempre Higuain e Suso, Cutrone e Kessie per arrivare a Calhanoglu. Sarà dura, ma se sapremo riproporci sugli standard visti a Genova, o nei secondi tempi contro l’Inter o la Roma e avremo la precisione per finalizzare le occasioni che creiamo potremo ottenere un risultato positivo e alimentare l’autostima».

Variabile importante, per una squadra a caccia di continuità. «La prestazione contro la Samp sembrava aver certificato la nostra definitiva maturazione, e poi è arrivata la sconfitta contro il Parma. Per questo predico calma: non sarà una gara decisiva, visto che mancano ancora tantissime partite, ma ripeto che mi aspetto le giuste risposte».
Tornando sui singoli, anche da un Ola Aina che è l’emblema di un Toro nel complesso positivo, ma passibile di ampio miglioramento: «Contro il Genoa è entrato bene, contro l’Alto Adige invece si è un po’ distratto. E’ giovane e per me diventerà fortissimo, ma deve imparare a mantenere lo stesso standard di rendimento». Come il Toro, appunto.

Ecco una breve lista che potrebbe risultare utile ai fini delle ricerche:

  1. Portogallo con Rádio e Televisão de Portugal;
  2. Svizzera con Schweizer Radio und Fernsehen;
  3. Turchia con Turkish Radio and Television Corporation;
  4. Serbia con Radio-televizija Srbije;
  5. Paesi Bassi con Sanoma Media Netherlands;
  6. Paraguay con Sistema Nacional De Television;
  7. Slovacchia con Slovenská Televízia;
  8. Suriname con Surinaamse Televisie Stichting;
  9. Repubblica Ceca con Ceská Televize;
  10. Svezia con Modern Times Group.

DOVE VEDERE MILAN – TORINO IN TV

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DOVE VEDERE MILAN TORINO IN STREAMING

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Il calcio italiano piange da due giorni un suo figlio prediletto: Gigi Radice. E con lui rimpiange un calcio diverso, più umile e umano. Quando lo storytelling del pallone si riduceva alle vignette dei giornali, con allenatori senza social media manager, Radice lasciò un segno profondo e in qualche modo unico nel nostro calcio. Al di là dei tre scudetti vinti tra campo e panchina, curiosamente con Milan e Torino avversarie questa sera a San Siro, introdusse molti elementi nuovi. Dalla lezione del calcio appresa dagli olandesi all’eleganza formale nel vestire. In epoca di tecnici con tute sdrucite e sporche, lui si mostrava con giacche in tweed per rimarcare differenza e carisma.
Quello che mi colpisce nei ricordi degli ex giocatori è proprio il tema della modernità affiancata al nome di Radice. Come ha spiegato perfettamente il suo pupillo Paolo Pulici, fu Sacchi prima di Sacchi. Fu in grado di anticipare decine di finti rivoluzionari pubblicizzati nei decenni successivi. Non esisteva nemmeno in Spagna la parola tiki-taka, eppure Pecci già passava a Zaccarelli, che allargava sulla fascia destra per il “poeta del gol” Claudio Sala e la gente del Comunale applaudiva estasiata, esultando coi gemelli del gol Pulici e Graziani. Il ragazzo partito dalla periferia nebbiosa di Milano arrivò a sconfiggere la Juventus degli Agnelli nel 1976, dopo che in estate il presidente Pianelli voleva mollare per gli insuccessi dell’ultima stagione con Mondino Fabbri. Quarantacinque punti, addirittura 50 l’anno dopo, inutili per vincere, ma non meno cari alla memoria granata. C’era poca televisione, i selfie non esistevano, si viaggiava con poche e agognate immagini della domenica. Per quello, forse, molto sfuggì dei meriti storici del “tedesco”, così come veniva chiamato per ricordare a tutti che si trattava di un duro.
Se Radice fu un giocatore discreto, terzino e mediano rossonero negli Anni 50 e 60, l’allenatore gli fu decisamente superiore. Cambiò parecchie cose nel modo di insegnare, sin da quando conquistò la Serie B con il Monza nel 1967 e la Serie A con il Cesena nel 1973, prima volta nella storia dei romagnoli. Rituali, sistemi di preparazione, tattica, cura dei dettagli. Il sergente di ferro nella realtà del quotidiano sapeva motivare tutti, compattava lo spogliatoio senza bisogno delle teorie odierne sul team-building o sulla leadership. C’era, esisteva nei suoi gesti. Uno dei più bei libri di sport mai scritto, quello di Eraldo Pecci dedicato al Torino di quegli anni, è l’affresco migliore: «Ci conquistò in fretta. Quello di Radice a noi sembrava un gioco efficace e coinvolgente e sposammo presto il progetto». Non servono altre parole.
Radice non recitava come fanno molti colleghi attuali davanti alle telecamere, cercava di trasmettere messaggi utili, di arrivare al nocciolo delle questioni. Per lui parlano i risultati: il secondo posto nel ritorno al Torino nel 1985, dietro al solo Verona campione d’Italia, ma anche il settimo a Bologna malgrado una partenza da -5, fino alla Fiorentina dei giovani nel 1973-74 e a quella lasciata sesta nel 1993, prima della lite con Cecchi Gori che l’avrebbe poi condotta in B. I suoi richiami erano una specie di leggenda: dal “ragazzo stai nella cesta”, ammonimento rivolto soprattutto ai giovani, al celeberrimo cazziatone in campo al termine di Torino-Cesena. Era il 16 maggio 1976, i granata tornavano a essere campioni d’Italia dai tempi di Valentino Mazzola, questo giornale titolava “Toro, lassù qualcuno ti ama” (come ieri), ma a lui non bastò. Immagino quanti post attuali, quanti like, si sommerebbero sotto quel video, come esaltazione del risultato, dell’allenatore che sente il rumore dei nemici, che fa il figo. Invece era solo Gigi Radice da Cesano Maderno. Un grandissimo.

Una gara nel segno di Gigi Radice merita di essere giocata con mentalità e abnegazione: questo il Mazzarri-pensiero nella conferenza stampa di ieri.
Il tecnico è orientato a cambiare ulteriormente il quadro tattico, puntando su chi, ad oggi, gli ha garantito continuità di rendimento. Niente esperimenti, perché la gara di San Siro sembra già un banco di prova importante per i sogni europei dei granata, e il Milan ha conquistato in casa 16 dei 25 punti totali (striscia positiva interrotta con la sconfitta per mano della Juventus a novembre).
Fuori dai titolari Zaza, che non ha convinto nemmeno in settimana in Coppa Italia contro l’Alto Adige, e sistema di gioco che muterà in un più rodato 3-5-2. Confermata, per dieci undicesimi, la squadra che ha vinto domenica scorsa, a cominciare dal trio difensivo formato da Izzo, Nkoulou e Djidji. Buone notizie sono arrivate in settimana da Lyanco, autore di un’ottima prova in coppa (come sottolineato dallo stesso Mazzarri, ndr) e intenzionato a scalare le gerarchie. A centrocampo riprenderà posto Baselli, che agirà insieme a Rincon e Meité, con De Silvestri e Ansaldi sugli esterni. L’argentino, rientrato nella trasferta di Cagliari e in campo anche contro il Genoa, è considerato il titolare da Mazzarri che, sempre in conferenza, ha bacchettato un po’ Ola Aina, reo di essere entrato in campo con poca convinzione contro l’Alto Adige dopo la buona prestazione di domenica scorsa. Davanti sarà Iago Falque a giostrare su tutto il fronte in appoggio a capitan Belotti.

Grinta e bel gioco. Gigi Radice era questo e Gennaro Gattuso, in questo avvio di carriera da allenatore, sta proprio inseguendo questa via. Perché era “Ringhio” in campo, ma in panchina Gattuso da quando è al Milan insegue un altro obiettivo, un gioco offensivo, fatto di possesso palla e trame di gioco (giocatori presenti permettendo). Forse anche per questo ieri prima della conferenza stampa della vigilia della gara contro il Toro, il tecnico rossonero si è voluto soffermare un paio di minuti per ricordare Radice: «E’ venuta a mancare una bella persona, un grande uomo di sport – ha esordito Gattuso -. Faccio le mie condoglianze alla famiglia, è una perdita grandissima per il nostro mondo. Ripeto, abbiamo perso un grande uomo».

Cresciuto nel Milan da giocatore, consacrato da tecnico nel Toro, la partita di questa sera sarà “la partita” di Radice, una gara che il Milan non vuole fallire perché con i 3 punti verrebbe consolidato il quarto posto in classifica e soprattutto l’Inter terza sarebbe distante solamente una lunghezza: «Quando abbiamo iniziato ad avere quattro, cinque infortuni, ho visto un’aria diversa, occhi differenti nei giocatori: i problemi ci hanno ricompattato – ha proseguito Gattuso -. Io ora non penso al terzo posto o a superare l’Inter, ma al Torino. L’Inter in questo momento è una squadra forte, per noi deve essere uno stimolo rimanere attaccati a loro, ma il mio obiettivo è migliorare la squadra e arrivare in Champions». E qui Gattuso ha fatto un’ammissione onesta che forse non farà piacere ad alcuni tifosi, ma assolutamente condivisibile: «Metterei una firma grande come questo tavolo se alla fine del campionato l’Inter arrivasse terza e noi quarti». Che significherebbe Champions, obiettivo raggiunto e più che probabile proseguimento del suo ciclo in panchina. «Non c’è più pressione perché l’Inter ha perso, c’era anche con Lazio e Parma – ha sottolineato -. Il Toro ci può mettere in difficoltà, ha quattro, cinque giocatori che fanno paura e, come altre squadre di Serie A, ci può far soffrire fisicamente. E in trasferta sanno cosa fare». Gattuso ha compiuto un anno sulla panchina del Milan il 3 dicembre scorso. Arrivò al posto di Montella esonerato dopo uno 0-0 interno col Torino: «Sembra che sia passato più di un anno – ha ammesso “Ringhio” -. Se si vedono miglioramenti, è perché c’è voglia e cresce il senso di appartenenza, il vero segreto di questa società. Voglio continuare a vedere questo veleno nei ragazzi. Percentuali sui nostri progressi? Non lo so, non sono Renato Mannheimer che fa i sondaggi…».

Come ampiamente previsto, oggi il Milan ritroverà Higuain e Gattuso lo affiancherà a Cutrone: «Facciamo di tutto per farli giocare insieme, ma è importante che ci sia equilibrio. Higuain non segna da un mese, ma lui è fondamentale, per me non sarà mai un problema – ha chiosato Gattuso -. Deve concentrarsi ad aiutare la squadra e fare una grande prestazione, senza pensare al gol, quello arriverà di conseguenza».

Storia, generazione e caratteristiche a differenziarli, il ruolo ad accomunarli e la maglia da titolare in azzurro per cui duellare. Salvatore Sirigu e Gianluigi Donnarumma, presente e futuro protagonisti nel posticipo di stasera.
Il portiere del Torino ha girovagato in lungo e in largo in provincia (Cremona e Ancona, ndr) prima di imporsi a buoni livelli con la maglia del Palermo e, in ambito internazionale, al Paris Saint-Germain. Siviglia, Osasuna e poi il Toro, con cui ha riconquistato l’azzurro nel nuovo ciclo targato Roberto Mancini. Donnarumma, 12 anni più giovane (‘87 contro ‘99), ha invece bruciato tutte le tappe nella sua giovane carriera. Lanciato per la prima volta da titolare da Sinisa Mihajlovic (che puntò proprio su Sirigu in granata nella scorsa stagione, ndr) il 25 ottobre 2015 in un match contro il Sassuolo vinto dal Milan per 2-1, da allora non è quasi più uscito dal campo. Ad eccezione di Milan-Chievo (0-0, gli subentrò Abbiati dopo 19’, ndr) del 13 marzo 2016, Donnarumma ha sempre difeso la porta rossonera in campionato per tutti i 90 minuti, e stasera potrebbe fare 100 gare consecutive giocate per intero. Lui portiere moderno, Sirigu figlio della vecchia scuola italiana. Dopo un inizio impressionante ad appena 16 anni e 8 mesi, il giovane milanista ha vissuto periodi difficili con qualche errore di troppo; Sirigu, invece, si è rilanciato alla grande in granata ed è diventato un leader dello spogliatoio. In Nazionale Donnarumma é il titolare, Sirigu il vice, anche se il sardo del Torino ha più volte dimostrato di potersela giocare alla pari per il ruolo di numero uno. Stasera, a più o meno 100 metri di distanza, saranno avversari a San Siro: Gigio e Sasá, fratelli d’Italia in un match che vale un pezzetto d’Europa.

Il Toro da “tanto prima o poi il gol arriva” contro l’Alto Adige l’ha sfangata non senza qualche patema. Una prestazione appena sufficiente, ma utile per conquistarsi la Fiorentina (domani il sorteggio per stabilire quale sede ospiterà l’ottavo di finale di Coppa Italia, il 13 gennaio). A Milano, per contenere Higuain, e Cutrone o Suso, e rilanciare l’azione andando a impensierire un reparto difensivo debilitato dalle indisposizioni, servirà tutt’altro Toro. Mentalmente più concentrato e feroce, atleticamente e tatticamente più brillante. C’è stata una squadra che a Bergamo, per darsi coraggio in classifica si è giustamente abbottonata a protezione del punto, ma ce n’è ora un’altra che, pur senza incoscienza, a San Siro potrà offrire una prova spavalda a caccia di un successo che avrebbe molteplici implicazioni. «Contro il Milan dovremo cambiare passo», ha infatti detto Cairo per chiarire il concetto. Bello sarebbe dedicare i tre punti a Gigi Radice nello stadio che da giocatore ha visto il tecnico dello scudetto ‘76 conquistare tre scudetti e una Coppa Campioni. E poi un colpo da novanta sarebbe combustibile per una classifica che da interessante può diventare bella. Esiste anche una ragione magari minore, ma tale da stimolare un ambiente ad agguantare una difficile vittoria. Già, perché al presidente Cairo – che la soddisfazione non se l’è mai levata, né a Torino né a Milano – piacerebbe non poco che a imporsi, per una volta, fosse il club che presiede dal 2005.

Una possibilità concreta, per una squadra che ha nel complesso qualcosa in meno dei rossoneri, ma che può colpire il Milan nei suoi punti deboli. Asfissiando gli spazi centrali a Cutrone e Higuain, raddoppiando su Suso e mettendoci la dovuta attenzione nella lettura degli spazi in ripartenza il Toro potrà regalare la partita perfetta e consegnarsi i tre punti. Certo, alla qualità della prestazione dovrà aggiungersi l’incisività al momento di finalizzare. E qui il pallone, magari su assist di Iago Falque, passa a Belotti. Il centravanti che è sempre piaciuto al Milan, ma che Cairo in assenza della pazza offerta pareggia-clausola (100 milioni), ha deciso nell’estate del 2017 di blindare. A maggior ragione perché all’altro vertice del campo ci sarà Higuain, contro il quale esiste una sfida a distanza resa ulteriormente più gustosa dai trascorsi bianconeri dell’argentino. A pensare al Pipita nonché a Cutrone sarà un trio difensivo stravolto rispetto a quello di Coppa. Rientrano Izzo, Nkoulou e Djidji, nonostante Lyanco contro gli altoatesini abbia stimolato la curiosità di rivederlo all’opera pure contro avversari più probanti. «Sì, la nota lieta di una serata francamente trascurabile è stata il brasiliano», il guizzo presidenziale a margine del passaggio del turno di giovedì.

Si torna però al punto di partenza: «Contro il Milan servirà ben altro Toro». Una squadra che anche rispettando un dna che Radice ha contribuito a scrivere sappia dare il meglio dall’inizio alla fine. Potrà non bastare quando sabato 15 l’incrocio sarà con una Juve aliena, ma potrà essere sufficiente per conquistare un risultato positivo a Milano. Città d’adozione di un Cairo che in 19 precedenti – 18 in campionato e uno in Coppa Italia – non ha mai visto il suo Toro vincere, contro il Diavolo. Per trovare l’ultima affermazione dei granata bisogna tornare al 4 novembre del 2001, al gol risolutivo di Cristiano Lucarelli (tra questa data e l’arrivo di Cairo ci sono state altre 7 gare senza gioie, contro il Milan) al Delle Alpi. Per trovarne una in trasferta si deve risalire addirittura al 24 marzo 1985, rete di Schachner. Sulla panchina granata? Radice. La stagione del fantastico 2° posto alle spalle del Verona di Bagnoli. L’indubbia solidità raggiunta dal Toro di Cairo, come evidenzia proprio Lucarelli intervistato nella pagina a fianco, avrebbe bisogno di essere alimentata anche da qualche sogno. Hai presente battere finalmente il Milan, e a San Siro? Ecco.

«E come no. La dinamica del gol, soprattutto: tra virgolette, comica. Ci fu un bellissimo controllo a… inseguire di Delli Carri con lo stinco sinistro e io, che ero già pronto, bum: botta di destro a battere Abbiati. Ero già pronto perché ben conoscevo le qualità tecniche di Daniele: i suoi stop di solito erano a quindici metri. Scherzo, ma in realtà no: fu proprio così».

In realtà, i tifosi del Toro hanno ancora negli occhi la rincorsa indiavolata di Asta sulla fascia destra, lanciato da De Ascentis a recuperare sulla linea di fondo un pallone quasi impossibile, per poi metterla in mezzo.

«In quella rincorsa di Tonino c’era il nostro spirito. Non eravamo una squadra tecnicamente eccelsa, però eravamo molto motivati. Avevamo fame, voglia. In quella stagione, con Camolese, abbiamo fatto soffrire tutte le grandi, battendo anche Lazio e Fiorentina, davamo filo da torcere a chiunque. Con la Juve rimontammo da 3-0 a 3-3, poi ci fu il rigore toppato da Salas con la buchetta di Maspero. Al ritorno loro strapparono il 2-2 alla fine, con Maresca e quelle corna a prendere in giro Ferrante. Squadra cazzuta, sì; purtroppo, società non altrettanto solida, e l’anno seguente, dopo l’Intertoto, andò come andò. Lasciamo perdere, va».

Lasciamo perdere, ok. Altrimenti bisognerebbe riparlare di Cimminelli e dei suoi spropositi, di Romero e dei suoi paragoni psichedelici su Magallanes, della retrocessione, di Lucarelli espulso a San Siro che se becca Inzaghi che esulta smodato al 6-0 lo appende ai pennoni dello stadio.

«Di Inzaghi preferisco ricordare le parate incredibili che gli fece Bucci la volta che vincemmo noi. Alla fine strappò un rigore un po’ così, Luca era furibondo, aveva il sangue agli occhi: quando vide il pallone finire sopra la traversa, sembrava volesse mangiarselo, Pippo. Eravamo schizzati, mica tanto normali. Oh, loro eran forti, eh? Gattuso, Costacurta, Serginho, Albertini, Rui Costa… Tra l’altro, il mio gol fece pure esonerare Terim. Ho anche questa cosa sulla coscienza».

Abbiamo visto il suo selfie al Filadelfia, Lucarelli. Perché è venuto a visitarlo?«Avevo un paio di giorni liberi e con mia moglie abbiamo deciso di venire da Livorno a rivedere i luoghi dove avevamo vissuto. Ma non avevo mai visto il Fila e ci tenevo. Mi ha fatto un effetto bellissimo, un posto molto suggestivo. E al Comunale, poi, ho avvertito il senso della proprietà granata, quella presenza forte che negli anni miei mancava un po’. Si percepisce lo spessore della figura di Cairo come imprenditore e gestore di aziende di livello top».

Non tutti i tifosi del Toro vivono con sensazioni altrettanto positive questa società e questo presidente.«E’ che molte persone non hanno bene in testa cosa ci sia in giro. Capisco che il tifoso voglia sognare e veda sempre il bicchiere mezzo vuoto, ma la verità è che il Toro da anni sta facendo calcio come prima non faceva. Ha un settore giovanile di primo livello, dove Bava fa un lavoro eccezionale. Acquisisce giocatori importanti e di prospettiva, ingaggia allenatori che prima hanno guidato grandi squadre, come Mihajlovic e Mazzarri e prima Ventura, comunque poi diventato ct. Il Toro ha fatto il salto in avanti, ha alzato l’asticella, è costantemente nella parte sinistra della classifica: ai miei tempi era utopia. Se poi per una congiuntura astrale, legata alla ripartizione dei diritti tv, al marketing e ai fatturati, non puoi competere con i club più ricchi e potenti, non puoi farci molto. Un caso come quello del Leicester in Italia non credo sia proponibile: qui ci sono dinamiche diverse, anche fuori dal campo, rispetto all’Inghilterra, alla Spagna, alla Germania. Ovvio che ci augureremmo tutti un campionato di pari opportunità. Il Toro è partito dopo, ma è in crescita costante, si è consolidato e può diventare grande in futuro, al quale guarda. Intanto è sesto, eh? Ha gente di qualità, ha tenuto Belotti. Che a me garba molto. Il prototipo del centravanti moderno, svaria su tutto il fronte d’attacco, aiuta in fase di non possesso, aggredisce la profondità e tiene anche botta fisicamente. Lo menano e non si lamenta, si rialza e riparte. Mi piace anche per questo. Non sopporto i piagnucolosi, io».

Lo si era intuito. E poi chi le piace, oltre a Belotti?«Tanti. Ma se devo dirne uno, dico Baselli. Margini di miglioramento enormi, un potenziale top player».Ma il Toro in Europa lo vede?«Assolutamente sì. Ho grande fiducia in Mazzarri, è lui la vera garanzia. Ci ho potuto lavorare solo tre anni, tra Livorno e Napoli, ma mi ha insegnato tanto, non solo a livello tattico. Le sue squadre sono sempre compatte e organizzate, mettono in difficoltà chiunque. Io ho girato anche un po’ l’Europa, da Valencia all’Ucraina: tatticamente non ho trovato nessuno così bravo. Sono convinto che alla fine riuscirà anche a fare giocare e rendere insieme Zaza e Belotti, trovando i meccanismi. Ma prima è chiaro che voglia codificare certi equilibri di base. E ottenere risultati, anche. Comunque non è facile eh, far convivere certi attaccanti. Ricordo me con Ferrante: non c’era verso».

Quindi domani potrebbe essere che…?«Mi pare che in questi anni il Toro col Milan sia andato vicino alla vittoria tante volte. Poi tra rigori sbagliati, episodi arbitrali, sfortune… Insomma, mi sembra matura».Ma non è che Lucarelli sogna di allenare il Toro?

«Un sogno molto futuribile, perché adesso ha il migliore. Ma sì, potrebbe essere un atto di giustizia del destino: l’occasione di prendermi quanto non sono riuscito a ottenere da giocatore, malgrado tutti mi dicano che ne avessi le caratteristiche. L’esperienza al Toro mi ha formato tanto a livello caratteriale. E indossare la maglia granata, al di là delle cose che non sono andate bene, è stato bellissimo».

E non ci fosse tutta la Spagna a dividerli geograficamente, il galiziano Iago Falque e l’andaluso Suso potrebbero essere considerati gemelli calcistici. Esterni offensivi, per molte caratteristiche ali vecchio stampo, entrambi mancini, un passato in Premier League, il tragitto all’Almeria con un contatto sfumato per pochi mesi e il rilancio in Italia con il Genoa. La vicinanza calcistica tra i due giocatori è confermata dalle parole di Gattuso. «Si assomigliano, sembrano fatti con lo stampino», dice l’allenatore milanista che elogia le caratteristiche del granata: «E’ un giocatore che ha caratteristiche diverse da tutti gli altri. Va in velocità, salta l’uomo, crossa, tira ed è pericoloso su punizione. E’ completo a livello tecnico e sta bene anche fisicamente. Sta giocando da leader, è un giocatore importante. Bisogna fare molta attenzione perché è in grado sia di fare male da solo sia di creare per gli altri».

Tanti i passaggi paralleli che hanno scandito la crescita dei due spagnoli. Dopo gli inizi con il Cadice, Suso è stato scoperto dal Liverpool in Inghilterra, dove è stato notato dal Milan. Dopo una lunga trafila giovanile con Barcellona e Juventus, Iago Falque ha cercato fortuna con Tottenham e Southampton al di là della Manica. Poi, dopo un breve ritorno in Spagna, la seconda esperienza in Italia: quella decisiva perché il Genoa consente a Iago di approdare alla Roma e ora al Torino. Nel frattempo Suso, di quasi quattro anni più giovane (novembre 1993 rispetto a gennaio 1990) ha riguadagnato terreno. Da ragazzino la promessa più reclamizzata era Iago Falque. Suso ha dovuto inseguire: anche in questo caso decisiva l’esperienza al Genoa nella seconda metà della stagione 2015-16. Adesso Suso è riuscito a entrare nel giro della Nazionale maggiore iberica, mentre Iago è fermo ai successi con le Under spagnole. Ma entrambi hanno trovato la loro dimensione con le maglie di Milan e Torino. «Torino ormai è la mia casa. Qui ho trovato stabilità e sento che questa si rivelerà la mia stagione migliore», dice l’ex romanista. Suso è sulla stessa strada. Ha già segnato 4 gol ed è in testa alla classifica degli assist-men di questo campionato. Anche se, per ragioni di età, il numero 8 rossonero è il più soggetto a sirene di mercato.
Oggi i due furetti spagnoli avranno il compito di alimentare la creatività delle due squadre sul prato di San Siro. Con qualche variante tattica che dimostra le loro differenze oltre ai punti di contatto. Iago Falque è riuscito, nel corso della carriera, ad adattarsi a posizioni differenti. Non solo esterno in un tridente, ma anche seconda punta di movimento, duttilità decisiva per trovare spazio nel modulo di Mazzarri che prevede la difesa a tre e assetti offensivi diversi. Per Suso questo processo è più complesso. Il numero 8 rossonero preferisce sempre partire largo e finora non è stato possibile cucire ruoli differenti sul suo canovaccio che miscela leggibilità teorica a imprevedibilità pratica: in altre parole, tutti sanno che farà quella finta, ma nessuno riesce comunque a fermarlo in anticipo. Anche se negli ultimi mesi qualcosa sta cambiando: in particolare, la propensione talvolta a chiudere il dribbling andando sul meno amato destro senza rientrare, ma puntando verso la linea di fondo. Variante utilissima a confondere ulteriormente i difensori avversari. E Gattuso progetta altre innovazioni. Ieri, ad esempio, ha ammesso di aver pensato a Suso mezzala. Ma prima andrà in scena la sfida tra le due ali spagnole che devono ispirare Milan e Torino.

Nel giorno di Gigi, alle porte di Torino si è aperto un nuovo appuntamento della mostra itinerante “I pionieri granata. Il calcio nella storia”, che da un paio di anni porta a passeggio per l’Italia la grande eredità lasciataci da quei ragazzi un po’ matti, tanto visionari e ancor più appassionati che tra il calare dell’800 e il levare del ‘900 cominciarono a correre dietro a una sfera di cuoio. Un’iniziativa nata dal lavoro di Daniele Costelli e di Marco Morelli di Popolo, quest’ultimo, nipote di Vittorio (che nel Toro fu tutto, anche fondatore), un autentico “tesoro” cui Tuttosport dedicò due pagine il 7 ottobre scorso: è, infatti, il depositario di una memoria intellettuale e fisica (reperti e cimeli assolutamente fantastici) di un’importanza mostruosa per chi ama lo sport e il calcio, di più per chi ama il Toro e la storia. I due, per la data di Beinasco (la mostra sarà aperta anche oggi, appunto a Beinasco in via Roma 2, dalle 10 alle 19), si sono appoggiati alla generosa collaborazione dei cuori granata Fulvio Bechis e Angela Duca.
Apprezzata la presenza di Antonio Comi, dg dell’attuale Torino, che ha subito invitato i presenti «a dedicare un pensiero al grande Gigi Radice, uomo e allenatore indimenticabile». Quello di Comi è stato uno dei tanti ”ponti” percorsi e ripercorsi, dall’evento e dalla mostra, tra gli albori del calcio e il presente. A fare gli onori di casa, il sindaco, Maurizio Piazza, che già aveva inaugurato Largo Grande Torino a Borgaretto, frazione di Beinasco a forte granatizzazione. Un altro ponte ideale, idealissimo in questo fine settimana dalla forte Radice granata-rossonera, l’ha lanciato Sante Squillace, presidente del testè rinato Fc Torinese 1984, la società sorta dalle prime due squadre di calcio italiane (il Torino Fcc e i Nobili Torino, poi confluite nell’Internazionale Torino e infine nel Fc Torinese, da cui a sua volta sbocciò il Torino). Ha infatti ricordato Herbert Kilpin, il pioniere che giocò nell’Internazionale Torino per poi spostarsi a Milano, dove fondò il Milan. C’erano poi altri discendenti illustri: Italo Mosso, figlio di Francesco Mosso, che con i fratelli, Benito, Eugenio e Giulio portò il granata nei primi passi. C’era Liliana, figlia di Carlos Martin Volante, brasiliano ex granata degli Anni 30. E Susanna Egri, figlia di Ernst Erbstein, il demiurgo del Grande Torino: ha letto una lettera che il padre inviò a lei, poco più che bambina, dall’esilio, in cui il padre travolgeva l’amarezza per le vergognose leggi razziali con l’invito a credere nella vita, nella speranza e nella pace nel mondo. Ha commosso tutti. Con un filo di composto dispiacere, giacché al suo grande padre «non viene riconosciuto il ricordo e il valore che merita. Si deve rispettare e promuovere la memoria di chi, in ogni ambito, ha saputo dare più di tutti gli altri, pagando l’impegno anche con la vita». Sì, si deve.

L’arrivo di Kakà, oggetto 9 del paragone più fre- I quente, caricò il Milan d’entusiasmo: due settimane dopo lo sbarco di Ricky la squadra sollevò la Supercoppa Europea nello stadio del Monaco, dopo aver piegato il Porto di Mourinho. L’augurio rossonero è che, stasera, la presenza di Paquetà a San Siro sia allo stesso modo benaugurante: nel posticipo con il Toro il brasiliano farà da semplice spettatore (come successe quella volta a Kakà) ma la sola presenza del nuovo gioiello renderà l’atmosfera più brillante. Un successo sarebbe infine perfetto per impreziosire la serata e soprattutto la classifica. Se dall’incrocio Milano-Torino Gattuso uscisse vincitore, dopo la sconfitta del- lTnter con la Juve, porterebbe i suoi a meno uno dai nerazzurri. Un punto indietro ma uno avanti nel derby degli acquisti. Consolidare il quarto posto avrebbe di per sé un grande valore: la strada è lunga e in salita ma durante il percorso il Milan potrà presto esser preso per mano anche da Paquetà. L’ultima partecipazione alla Champions è del 2013-2014, la stagione del ritorno rossonero di Ricky: tutto torna.

SFIDA D’EUROPA Per rientrare tra le prime quattro Gattuso metterebbe subito la firma ma la scalata si compirà solo se nel frattempo metterà un autografo su partite come questa: il Torino entrerà allo stadio forte del sesto posto che oggi ugualmente gli varrebbe l’Europa. In campionato, con la vittoria sul Genoa ha ritrovato anche i gol di Belotti: ora può staccare la Roma e avvicinare ulteriormente la Lazio. Per ritrovare un orizzonte simile bisogna arrampicarsi indietro negli anni.

Come si conviene a ogni vigilia i due allenatori si sono scambiati complimenti reciproci, ma questa volta sono sembrati più sinceri. Gattuso ha applaudito la capacità di Maz- zarri di disporre una squadra sempre organizzata, Mazzarri si è detto sorpreso dal lavoro di Rino, uscito sempre rinforzato dalle tempeste che gli si sono presentate davanti, dalla pressione dell’ambiente alla catena di infortuni. Stasera, sbrigati gli ultimi convenevoli prima dell’inizio, sarà partita vera. Le motivazioni ospiti sono serie, ma è il Milan che può permettersi ancora meno di scherzare. Al successo sul Parma deve essere data continuità immediata perché chi punta velocemente in alto non può concedersi tante soste. A maggior ragione visto che, anche in campionato, ritroverà il proprio trascinatore Higuain.

NUMERI D’ORO Alle spalle del Pargentino ci sarà presto un brasiliano di Paquetà, una piccola isola della Baia di Guanabara davanti a Rio de Janeiro: originario del luogo, Lucas Tolentino Coelho de Lima, è diventato per tutti Paquetà, secondo colpo più caro (di nuovo dietro al Pipita) dell’era Elliott. Dorivai Junior, l’ultimo allenatore che lo ha avuto in Brasile, lo descrive come un giocatore «fondamentale per la partecipazione all’azione difensiva quanto a quella offensiva. Per questo è simile a De Bruyne o Modric». La suggestione Kakà però resta: come Ricardo

Paquetà arriva al Milan a ven- tun’anni. E come lui è particolarmente devoto. Kakà ha vinto in rossonero l’ultimo Pallone d’Oro prima del decennio equamente diviso tra Messi e Ronal- do. Paquetà – oggi lo sbarco, da domani test e ricerca della casa – deve ancora dimostrare tutto ma i numeri sono da predestinato: a 19 anni ha segnato il primo gol con un pallonetto da 40 metri al Madureira. Nel 2017 segna in due finali: in Coppa del Brasile con il Cruzei- ro e nella Coppa Sudamericana all’Independiente. Nell’ultima stagione ne ha fatti 10 in 32 partite partendo da una zona più centrale del campo, spartita con l’ex juventino Diego. Per i siti di analisi brasiliani è stato il migliore del torneo: un mix impareggiabile di 95 tiri, 41 passaggi chiave, 79 tackle, 55 dribbling. Bravo a terra e in aria: primo tra i centrocampisti per contrasti aerei vinti. Sarà il 35° brasiliano del Milan: le qualità dicono che non finirà come con Roque Junior, Ricardo Oliveira o Luiz Adriano. Semmai potrà seguire la scia luminosa di Kakà, Rivaldo, Ronaldinho, Thiago Silva, Pato e Cafù. Stasera, senza giocare, avrà già i riflettori puntati addosso.

Per il popolo rossonero oggi sarà «Paqueti- me», il giorno di Lucas Paquetà. Ma il calendario di Rino Gattuso segue altri riti: il tecnico rossonero intende aspettare gennaio per brindare all’arrivo del brasiliano, «perché prima l’acquisto va ufficializzato». A chi gli chiede un commento sul giocatore, alla vigilia di Mi- lan-Torino, Rino risponde di «annotarsi le domande e riproporle tra qualche settimana, quando Lucas farà parte della rosa. Questo suo primo contatto con l’Italia servirà per vedere Milanello, fare dei test e cercare casa».

NIENTE MONTELLA Testa rivol ta solo al presente, allora. Foca- lizzata sui granata di Mazzarri, che si presentano a San Siro «così in alto in classifica non per caso. Il Toro è una squadra tecnica, fisica e ben allenata». Per affrontare l’impegno nel modo giusto è vietato distrarsi col futuro, ma anche col passato. Con le polemiche innescate dall’intervista di Vincenzo Montella alla Gazzetta, per esempio. Il tecnico rossonero sceglie di non replicare a chi l’ha preceduto in panchina, limitandosi ad augurargli «ogni bene e un pronto rientro al lavoro». Le munizioni vanno risparmiate, è il pensiero di Gattuso, perché la guerra – intesa come l’insieme delle battaglie sportive che portano alla quali ficazione Champions – è lunga. «Avevo una sola cartuccia e l’ho già sparata, non posso rispondere tutti i giorni agli attacchi», spiega Rino. Si riferisce al duello verbale col vicepremier Matteo Salvini dopo Lazio-Milan, dove respinse le critiche al mittente. Non ci sarà un bis per Montella, perché ogni energia mentale ora va spesa per centrare il quarto posto, con un occhio puntato sul terzo.

INTER VICINA Portarsi a un solo punto di distanza dai rivali cittadini è una possibilità suggestiva, ma Gattuso è molto chiaro, quando viene pronunciata la parola «Inter» : «Sorpassarla non è un obiettivo a cui penso, metterei una firma grande come un tavolo per chiudere il campionato al quarto posto dietro a Spalletti. Ho visto Juve-Inter ma non ho gufato». Troppo importante il ritorno in Champions per baloccarsi con pensieri di derby, ma la concretezza non è un limite ai sogni: «C’è aria nuova a Milanello, da qualche tempo – osserva Rino, ribadendo la sensazione di una svolta avvenuta -. Come ho già avuto modo di constatare, l’emergenza infortuni ha compattato il gruppo. Con questa voglia e disponibilità, nel calcio tutto può succedere».

L’ASCESA DI BAKAYOKO II saito di qualità definitivo passa anche per il rendimento di Paquetà e per un eventuale ritorno di Ibrahimovic («non mi risultato frenate, ma sono domande da fare a Leonardo, Maldini e Gazidis»), Prima ancora, però, il volo si può spiccare ottenendo il massimo anche da chi non ha ancora espresso tutto il potenziale. Come Calhanoglu: «Hakan lo sa, può fare di più – è l’incitamento dell’allenatore -, ma devo ringraziarlo per le partite che ha giocato nonostante i guai fisici». Gli elogi a Bakayoko, ripetuti anche ieri, sono un’altra costante delle ultime settimane, sebbene il riscatto del francese dal Chelsea non dipenda da Rino («non faccio il contabile, io devo solo metterlo in campo», taglia corto).

BORINI OUT Chi il campo non lo vedrà, almeno oggi, è Fabio Borini, non convocato pervia di una caviglia in disordine. Vicini al rientro, invece, Romagnoli e Musacchio, con l’argentino «avanti di 4-5 giorni rispetto ad Alessio, entrambi hanno ripreso a correre». Servono anche loro per competere al vertice, e restarci. «Perché non abbiamo ancora fatto nulla», ricorda Rino. Come Paquetà, che però solletica già le fantasie dei tifosi del Diavolo.

Quella sera di quattro anni fa, le «distinte» del San Paolo non si prestavano a dubbi: di 9 ce n’era uno solo, il Pipita Higuain, destinato curiosamente alla panchina. Il numero 99 Belotti, invece, sbucava dal tunnel degli spogliatoi insieme con i compagni del Palermo: era il suo esordio da titolare in Serie A. Il Gallo sparigliò le carte fin da subito e cantò due volte, prendendosi la copertina del 3-3 colto in casa di quel Napoli. Mentre Gonzalo entrò in campo a cose ormai fatte e non riuscì a cambiare il corso degli eventi: improvvisamente, allora, nel primo faccia a faccia tra Higuain e Belotti i numeri di maglia diventarono un dettaglio, perché i veri 9 in campo erano due, presente e futuro del gol. Oggi il Pipa e il Gallo sono di nuovo di fronte, tutti e due però al centro dell’attacco, armati dalla solita fame di gol e decisi a prendersi il trono di San Siro che vale la scalata all’Europa per Milan e Toro. Da quel primo confronto indiretto del San Paolo hanno cambiato squadre,fino a dividersi Torino nei derby della Mole. Hanno pure ridisegnato i confini nostrani del mercato, a colpi di ricche clausole e valutazioni stratosferiche. Mister 90 milioni vs Mister 100, avrebbe strillato la locandina di un ipotetico match di boxe fino a un paio di estati fa. C’è stato pure un incrocio di trattative: a Belotti ha fatto la corte quel Diavolo che poi ha sedotto Higuain. Stasera il duello riparte in parità: entrambi hanno segnato abbastanza, 5 gol, ma non troppo. Il Pipa ha qualcosa da farsi perdonare dopo la nottataccia con la Juve; il Gallo vuole svoltare dopo troppe prestazioni a singhiozzo. Sue e della squadra. Per entrambi vale un severo monito: guai a fallire questa prova dei 9.

IL DIGIUNO DEL PIPITA A una lettura approfondita dei numeri offerti dalle prime quattordici giornate di campionato, l’argentino ha una media migliore: i 5 centri sono arrivati con 10 presenze laddove l’italiano non ha saltato una partita e si è giovato di tre rigori. Eppure sul milanista il digiuno degli ultimi tempi sembra quasi pesare più dei centri realizzati: il Pipa non si è sbloccato nella festosa goleada di coppa con il Dudelange e negli occhi dei tifosi resta il rigore fallito contro la Ju- ve, prima che il cartellino rosso con successiva sfuriata contro l’arbitro facessero il resto. Due turni di stop.

SOCCORSO RINO «Non segna da un mese, ma in mezzo ci sono la squalifica, la sosta e l’infortunio – ha ricordato ieri Gattuso Gonzalo è fonda- mentale e non sarà mai un problema, perché è un campione e sa giocare a calcio. Deve solo concentrarsi ad aiutare la squadra, senza la fissa del gol». Mica facile, per uno che di reti vive e che sul rendimento sotto porta ha costruito una carriera intera (contro il Toro siamo a 7 gol in 10 incroci di A, ultimo timbro un anno e mezzo fa). Gattuso (e chi frequenta Milanello) garantisce: l’umore di Higuain è buono. «Sorriso e cazzeggio negli spogliatoi non sono mai mancati, anche quando tutti pensavano fosse nervoso».

LA CHAMPIONS Sul campo, però, è un’altra cosa, lo stato d’animo viaggia di pari passo con lo score personale fin dai tempi di Napoli e il Pipita ha una voglia matta di mettere la firma sulla marcia da Champions del suo Milan: senza di lui, Cutrone e compagni erano riusciti ad arrampicati al quarto posto in solitaria, ora serve il marchio del 9 per andare a +3 sulla Lazio frenata dalla Samp.

WM ALLEGGERISCE Anche il Walter Mazzarri in questa vigilia ha adottato la tattica «gattu- siana» di alleggerire la pressione sul suo centravanti. «Se il Torino fa una grande gara anche il Gallo farà bene. E se il Gallo farà bene il Torino farà una bella partita: io la vedo così. Detto questo, non mi piacciono in genere i paragoni. e qui si parla di attaccanti con età, caratteristiche ed esperienze diverse. La sfida è Toro-Milan, non Belotti contro Higuain».

PARTNER Mazzarri sta cercando da tempo di assicurare al suo capitano un’ assistenza più ricca sul piano della qualità e della quantità dei suggerimenti. Ha fatto di Iago Falque il suo Suso («In effetti i due spagnoli hanno diversi punti di contatto») e ora attende che Simone Zaza diventi per il Toro quello che Cutrone è per il Milan: una spalla al servizio della prima punta e nel contempo una insidia costante per gli avversari. Zaza però viaggia in ritardo.

EJ un posto dove scorrono 9 emozioni, sogni, speranze e disillusioni. Un microcosmo che abbraccia trasversalmente classi sociali, anagrafiche e politiche. Più semplicemente, è un posto dove essere se stessi, e al Milan questo posto esiste da 50 anni. Benvenuti nel mondo ultrà rossonero, che in questo periodo festeggia il mezzo secolo di vita – le celebrazioni sono iniziate con l’imponente coreografia in occasione della sfida con la Ju- ve di un mese fa e culmineranno con la festa all’Arena di Milano del 16 dicembre – e lo fa stringendosi orgogliosamente  al cuore un vanto: la Fossa dei Leoni, nata a novembre del 1968, viene considerata il primo gruppo ultrà italiano (per l’accezione comune che viene data), oltre a uno dei primi in Europa a livello di top club.

RAMPA 18 Ora la Fossa non c’è più, sciolta nel 2005. O meglio, dal 2016 lo striscione – con quello delle Brigate Rossonere, altro sodalizio storico nato 7 anni dopo – è ricomparso in curva, ma si tratta di un omaggio ai padri fondatori. La parte più calda del tifo è riunita sotto tre parole: Curva Sud Milano. Circa 5.000 tesserati, una ventina fra sottogruppi e sezioni in tutta Italia. I grandi numeri sono questi, con una precisazione importante: «La curva ora è assolutamente unita, tutti i gruppi fanno capo alla Curva Sud». A parlare è Giancarlo Capelli, per tutti il Barone, volto storico degli ultrà rossoneri, 70 anni consacrati (con una moglie molto paziente) al Milan e alla vita da curva. Lui questo primo mezzo secolo l’ha vissuto tutto perché della Fossa è stato fra i primi militanti. Una storia nata da sette ragazzi alla celebre Rampa 18 che però non portava in curva, ma all’attuale 2° anello arancio. Defilati sulla destra, quasi al confine con la nord. La collocazione storica in curva risale ai primi anni 70, mentre la curva «unificata» arrivò a metà anni 80, quando i Commandos Tigre (l’altro gruppo storico a cui si era unita Nobiltà Rossonera, fondata anche dal Barone) si spostarono dal 1° verde al 1° blu.

RAPPORTI Tutto quello che vediamo oggi della curva rossonera – il cui leader e responsabile è Luca Lucci – affonda comunque le radici nella Fossa. Le prime riunioni settimanali a cui partecipavano 70 persone sono diventate appuntamenti per 500 e ovviamente è cambiato il modo di andare in trasferta. Come vedeva tutto questo il Milan? «Il club era disponibile, c’era un buon dialogo e una bella apertura», racconta il Barone. La Fossa ha fatto da apripista ad altri gruppi ultrà, che hanno visto il boom negli anni 80 e con cui inevitabilmente sono nate rivalità molto forti, ma anche forti simpatie. I milanisti in passato sono stati gemellati con le tifoserie di Roma, Napoli, Genoa e Bologna, rapporti poi deteriorati dal tempo. Resistono, e bene, il gemellaggio col Brescia e le amicizie con Partizan Belgrado e Cska Sofia.

PATTO E con gli ultrà interisti come va? Storia particolare: il derby milanese è un esempio in termini di ordine pubblico, perché ormai da parecchi anni non si va oltre lo sfottò. Merito di un patto di non belligeranza concordato nell’83. «Prima erano scontri pazzeschi – ricorda il Barone -. Non c’erano divisori e ci si incontrava a metà del 2° arancio. E poi una volta il ritrovo delle due tifoserie era nello stesso piazzale dietro la curva nord, davanti al famoso Ba- retto. Potete capire… Il patto è stato siglato perché ci siamo tutti resi conto che si stava passando il limite e ora ci adoperiamo per garantire la tranquillità». La rivalità quindi è nei cori e nelle coreografie. La Sud («dove non facciamo politica, perché la politica divide») le organizza nel derby, con la Juve e nelle sfide più importanti di coppa. Costano fra i 5 e i 25 mila euro (quelle su tre anelli), sono autofinanziate e per prepararle si va da un minimo di un mese a tre, impegnando più volte alla settimana tra le 20 e le 50 persone. Per montarle servono almeno otto ore di lavoro. E’ una questione di appartenenza e fratellanza, uniti da una tessera che costa la simbolica cifra di 5 euro l’anno. Ma la Sud è un richiamo anche per i giocatori. Lungo gli anni sono saliti in balconata, fra gli altri, Sheva, Pirlo, Inzaghi, Ambrosi- ni, Abbiati, Bonera, perché la simbiosi è forte. La curva a volte si è svuotata per protesta, in altri casi ha fatto visita a Mila- nello e anche ad Arcore per incontrare giocatori, allenatori e presidenti. Nel bene e nel male. Perché, come recita uno dei cori più sentiti dedicati al loro Milan: «Non ti lasceremo mai.



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