Al Bano è scomparsa il 10 dicembre



Mamma cara, sei riuscita a farmi piangere. Le lacrime le ho sempre mandate indietro, e Dio sa quante volte ho dovuto farlo, ma stavolta le lascio scorrere: sto invecchiando, forse. Prendo il coraggio a due mani per scriverti: non avrei voluto, ma devo, anche per l’amore che la gente ti ha sempre manifestato. Dopo che ti abbiamo portato al camposanto, mercoledì 11 dicembre, ero frastornato, spento, smarrito, senza parole.



Ero stanco dentro. Invece ora che la nebbia del dolore dà un po’ di respiro aliamola ritrovo la voglia di parlarti. Mi hai fatto un brutto scherzo, mamma. Avevi detto, come ogni volta che partivo per un concerto, «vai pure, ti aspetto». Parlavi a fatica, un sussurro, come quando dicevi il rosario. Non mi hai aspettato, mamma! Sono tornato ed eri lì, rigida, fredda, piccola e leggera come una bambina, la donna che è stata l’origine del mio mondo e che lei da sola era un mondo più grande di quello che ho girato in lungo e in largo e che mi ha osannato, era diventata una bambina. E ti ho guardato, ti ho accarezzato, come tu facevi con me. Piano, a lungo.

Ma era giusto che tu andassi. Mi avevi avvertito negli ultimi tempi, quando ancora riuscivi a trascinarti al cimitero per dire un’orazione sulla tomba di papà. «Tra poco arrivo», gli dicevi. Era giusto, era giunto il tempo che andassi da lui. Sei in paradiso, riposati, tieni la mano al tuo uomo. A me restano ricordi e insegnamenti. Ti rivedo – io e Franco bambini – in bici sulle strade polverose della nostra campagna. Ogni volta che ci fermavamo accanto a una masseria ci venivano incontro ragazzini sporchi e affamati e tu tiravi fuori il pane dalla cesta e lo spezzavi:
un pezzo e un sorriso a loro, un pezzo e un sorriso a noi, i tuoi figli, come faceva il parroco alla messa.

Ho capito allora che eri speciale, una madre cui la fatica di una vita dura aveva regalato mille virtù, una santa. E ti rivedo, mamma, nei giorni tenebrosi in cui la furia del destino è entrata nella nostra casa e ha squassato le nostre vite: tu che ti chiudevi nella preghiera e io che mi chiudevo nella rabbia verso me stesso per non aver impedito a tua nipote Ylenia quel tragico viaggio. Ma come potevo fermarla, io che, giovanissimo, sentivo lo stesso desiderio di scappare, e me ne sono andato? Neppure allora mi hai rimproverato. Grazie mamma, grazie per quei tuoi silenzi, per essere stata la nonna più dolce per i miei figli, grazie per la tua pazienza, per i sacrifici, per gli insegnamenti. Grazie per le cicorie selvatiche che erano il tuo benvenuto ogni volta che tornavo a casa. Ti vedo anche adesso, arrivare dai campi con il raccolto.

Ti mettevi in cucina e preparavi le cicorie. Ma cosa ci metti? Sono così buone, ti dicevo. E tu rispondevi sempre: «Ci metto una cosa semplice, l’amore».
Ne hai dato di amore, nei hai dato tanto a tutti. Ma una volta, ricordi?, l’ho avuto per me, in esclusiva, per un’intera settimana. Eravamo sull’isola di Sai, a Capoverde, noi due soli, su quelle spiagge senza fine. Camminavamo sulla sabbia mano nella mano e cantavamo insieme con l’oceano. Ogni tanto ti fermavi a riposare, e io andavo avanti. Mi giravo e ti guardavo: eri la donna più bella del mondo. Mamma, arriva Natale, il primo senza di te. È amaro e freddo, ma io voglio scaldarlo, voglio che sia lo stesso di quando ceri tu. Anzi, voglio seminare un po’ di serenità natalizia su tutti i giorni dell’anno. Devo sorridere, non devo piangere: ho avuto la fortuna di averti come madre. Sei stata il mio faro di onestà, semplicità, umiltà, ora sei la mia stella.



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