Amici Celebrities Joe Bastianich, tra i suoi ricordi ci sono le canzoni di suo padre



Questo articolo in breve

Da integerrimo giudice di MasterChef ad “allievo” della prima edizione di Amici Celebrities. «Sono terrorizzato. Dopo quindici anni, mi trovo dall’altra parte della barricata e sarò io a essere giudicato. Ho deciso di partecipare perché mi sembrava una grande opportunità per mettermi in gioco con la mia musica, affinché un’ampia fetta di pubblico possa ascoltare i miei brani e le mie interpretazioni. Non so bene che cosa aspettarmi. Ma spero di vincere!», spiega Joe Bastianich, pronto a una nuova avventura che lo metterà per la prima volta a nudo in un molo inedito: quello di cantautore.



Il 20 settembre è uscito il suo primo album, “Aka loe” per Uni versai Music Records su Decca Black – anticipato dal singolo “Joe played guitar”; un disco che racconta l’imprenditore in modo intimo: «E un viaggio introspettivo nel tempo che tramite i brani narra le storie di un ragazzo, figlio di italo-americani cresciuto a NY, che avrebbe voluto scappare dalla sua vita tramite il rock and roll e suonare in una band. Ma tratta anche di amori persi e conquistati, di temi importanti quali la violenza e l’uso delle armi».

All’incontro di presentazione della sua prima fatica discografica Bastianich è emozionato. «Ho deciso di far uscire l’album in Italia, un Paese la cui cultura accetta un musicista che, come me, nasce artisticamente a 50 anni», spiega. «Il contrasto col personaggio televisivo è molto forte. Tramite la musica racconto Joe senza filtri, in maniera sensibile, personale, vera, la gioventù, la famiglia, le ambizioni, la mia visione del mondo».

Nell’album c’è un brano dedicato a nonna Erminia, Nonna (97 years). Ci può dire qualcosa in più? «La canzone è un po’ dolce amara, poiché affronta il tema del tempo che stringe e dei momenti che rimangono da vivere assieme a lei. Ma per i 100 anni vorrei scrivere una canzone super punk rock per celebrarla al meglio questa nonna! Ho avuto la fortuna di essere sempre circondato da donne molto forti: mia nonna, mia madre, mia sorella. Nonna Erminia, però, è alla base della mia storia: dopo la guerra, è emigrata a New York, ha vissuto un periodo difficile, ha sofferto la fame. Dal niente si è costruita una nuova vita, di cui faccio parte anche io, “Giusep- pino”, in qualità di suo primo nipote».

Nonna Erminia mi ha cresciuto insegnandomi i valori della famiglia italiana che, assieme alla somma delle esperienza del passato, sono stati fondamentali per farmi diventare la persona che sono oggi. Lei è un po’ “responsabile” della nascita di questo disco, perché mi ripeteva spesso “Giuseppino, puoi fare quello che vuoi”. E io ci ho creduto».
Qual è il primo ricordo che ha di se stesso in veste di musicista?
«Il singolo “Joe played guitar” racconta proprio questo. La storia di un ragazzino di tredici anni che nel garage di casa si riuniva con quattro amici tra cui Spiros, un greco che si vestiva come Sid Vicious e suonava il basso. Facevamo delle cover, quelle m sono state le prime».
Un momento preciso in cui si è detto “mollo tutto e faccio il musicista” c’è stato?
«No, perché non mi considero un professionista.
Questo album racchiude dieci anni di diversi periodi musicali. Alle soglie del mezzo secolo ho sentito la necessità di cambiare, è arrivata l’occasione e l’ho colta al volo, con passione. Mi sono buttato in un campo non mio e, devo ammetterlo, mi sento un po’ vulnerabile». In questo disco si racconta più come americano o come italiano?
«Quella degli ultimi 10 anni in Italia è una realtà che mi ha visto protagonista principalmente in Tv. I racconti di questo disco sono, invece, quelli di un figlio di immigrati: mi sentivo diverso, un ragazzo di seconda classe, tutti gli altri sembravano essere migliori, in quanto americani. Queste sono cose che non vanno via; ma che, forse, motivano a impegnarsi per raggiungere il successo. Eravamo poveri e io non volevo esserlo. Eravamo italo-americani, io volevo essere americano. I temi importanti che ho affrontato da bambino non sono noti al pubblico italiano; ora voglio raccontarli tramite le mie canzoni, per far conoscere a tutti la mia storia».

Riguardo all’essere nipote e figlio di immigrati ha qualche ricordo che la tocca particolarmente?
«Le canzoni di mio padre. Suonava la fisarmonica e cantava. Ricordo brani che parlavano delle sue origini in Istria. È una storia peculiare: nel mondo ci sono circa 600mila istriani sparsi che non hanno più una patria ma che si sentono legati tra loro tramite la tradizione. Del cibo, ma anche della musica, grazie alla ^ quale ricordavano la loro “Terra lasciata”, per raggiungere la lontana America, i Terra che non avrebbero mai più rivisto».
Tra i temi importanti tocca anche quello delle armi con 20 snowflakes. A che cosa si riferisce il brano?
«Cinque anni fa, nel periodo natalizio in una scuola vicino a casa mia vennero uccisi 20 bambini. Mio figlio Miles mi chiese perché succedessero cose simili; lì per lì, una risposta non l’ho avuta. Perché era una disgrazia inspiegabile. Ecco, questa canzone è la risposta alla domanda di mio figlio. Anche se le situazioni sono pesanti, credo che sia responsabilità di un padre affrontarle».
Oltre a quella per la musica, lei ha una grande passione anche per il vino.
«Sì. Per me, le cose veramente importanti sono quelle destinate a durare più di una generazione. Come il disco, certo. Ma anche come il vino prodotto dalla mia azienda, il Vespa bianco: un assemblaggio super personale realizzato da me ogni anno. In un bicchiere di quel vino c’è la mia storia. E lo dico sempre: berlo equivale a conoscermi. Ascoltare la mia musica e bere il mio vino contemporaneamente, potrebbe rivelarsi un’esperienza mistica!».



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