Charlotte Casiraghi, la principessa monegasca ha scritto un libro sulle passioni umane



Spinoza per vivere riparava gli orologi, Hegel faceva l’istitutore di famiglie ricche, e pure Marx si era trovato economicamente a mal partito, mantenuto dal ricco amico Engels. Insomma, di rado la filosofìa fa rima con ricchezza e nobiltà, anzi è spesso sinonimo di scarpe rotte (e cervello fino). Un’eccezione però si sta facendo strada proprio in questi giorni: una ragazza che ha tutto, la ricchezza, la bellezza, la possibilità di una vita senza preoccupazioni, che invece vuole consacrare la sua vita agli studi, e in particolare a quelli filosofici.



Parliamo di Charlotte Casiraghi, che ha pubblicato da pochi giorni, un libro con un importante docente francese di filosofia, suo maestro, Robert Maggiori, Arcipelago delle passioni. Non si tratta di un flirt passeggero, quello tra la figlia di Carolina di Monaco e la filosofia, ma di un rapporto solido e duraturo. Negli stessi anni in cui era al centro del gossip internazionale per i suoi amori, quello con il comico Gad Elmaleh e quello con Dimitri Rassam, che ha sposato quest’estate, Charlotte, dopo la laurea in Filosofìa, organizzava ogni anno nel Principato un grande Festival dedicato a questa materia, intitolato Rencontres Philophiques.

Non solo: Charlotte si è fatta promotrice del progetto di introdurre a Monaco lo studio della filosofia fin dalle scuole elementari. «La filosofia mi è stata di aiuto di fronte all’intensità della vita», ha dichiarato. «La consapevolezza di essere vulnerabile mi ha portato in questo mondo». E il pensiero corre al padre Stefano, morto tragicamente quando lei aveva solo 4 anni. L’avvicinamento alla filosofìa è anche per lei un modo di riaffrontare, darsi una ragione e superare quello shock infantile.

Il libro Arcipelago delle passioni è una sorta di elenco e descrizione delle passioni umane, ovviamente analizzate con taglio critico, ma con linguaggio accessibile a tutti. Per presentarlo, Charlotte è venuta in Italia qualche giorno fa prima nel programma Tv di Massimo Gramellini Le parole della settimana, poi a Milano. E in entrambe le occasioni la principessa-fìlosofa ha raccontato qualcosa di sé, del suo rapporto con la vita e con questa materia a cui ha deciso di dedicare la vita. Principessa Charlotte, perché lei e il professor Maggiori avete usato la metafora dell’arcipelago? «L’arcipelago è un luogo dove le frontiere sono difficile da definire, i confini si avvicinano e si allontanano, non ci sono frontiere sempre definibili in moto. L’acqua unisce tutti gli

isolotti le correnti si intersecano tra loro, così come tutte le passioni si mescolano ad altre passioni».

Perché è così importante parlare delle nostre passioni?

«Forse perché oggi si tende a valorizzare la potenza, la performance, mentre la fragilità, la vulnerabilità sono spesso rimosse. In questo libro abbiamo messo in rilievo il fatto che noi esseri umani siamo vulnerabili, deboli. Le emozioni ci fanno capire che non siamo mai sicuri della nostra potenza. C’è un lato oscuro nelle passioni che ci mette di fronte alla nostra fragilità».

Che passione assoda al suo ricordo di suo padre Stefano, perso quando lei era solo una bambina?

«La perdita di una persona cara condensa in fondo tutte le passioni, tutte le emozioni. Però se davvero devo pensare a un’emozione in particolare, questa è il coraggio. La scomparsa di un familiare ci induce ad attingere a questo coraggio, per riuscire a superare l’angoscia e la paura della perdita. In qualche modo è a mio padre che devo il coraggio con cui affronto la vita»

Uno dei sentimenti su cui voi avete indagato è l’angoscia. Il nostro è un tempo pieno di angoscia. Perché?

«L’angoscia occupa un posto centrale nel nostro mondo. E qualcosa che invia un segnale, che ci dice che è in atto un conflitto. L’angoscia però non dice dove sia questo conflitto: appunto, è solo un segnale. Che però può avere un effetto positivo, può farci capire che c’è qualcosa che mina e mette in crisi la nostra libertà, e indurci a fare una scelta. Oppure possiamo ignorarla, e rifugiarci nei medicinali o nei farmaci»

Un’altra delle emozioni di cui parlate nel libro è la nostalgia

«Esiste un cliché sulla nostalgia, come qualcosa che si riferisce all’infanzia, o che ci fa ripensare a momenti felici vissuti in passato. In realtà è tutto più complesso: frammenti, ricordi, odori, creano un’atmosfera particolare. Contrariamente al lutto, dove c’è una perdita reale, la nostalgia fa riemergere nella nostra mente qualcosa che non c’è, che forse non c’è mai stato, ma che in qualche modo racchiude la nostra personalità».

Uno delle passioni che affrontate in modo particolarmente approfondito è la maldicenza. Inevitabile pensare ai social network e all’abuso che se ne fa. Lei che rapporto ha con i social?

«Non mi interessa molto quello che pensa di me questa enorme massa indifferenziata di persone che usa i social, ed è giusto così, altrimenti diventerebbe un’ossessione. Io non amo i social, anche se credo che possano essere utili a diffondere contenuti di carattere intellettuale, la passione per la cultura e la filosofìa. Penso che invece l’uso che ne viene fatto di solito, condividere opinioni banali o semplici eventi personali, sia inutile. L’abuso dei social è dannoso per i giovani, perché li induce a cercare continuamente conferme e li ostacola nel consolidamento di un’identità ancora fragile. Sono molto grata a chi mi ha spinto a cercare forme di verità e giustizia molto diverse da quelle che si trovano sui social network».

Si è mai sentita vittima di maldicenza?

«Tutti siamo stati feriti da una parola, da un giudizio, che non ha nessun rapporto con il nostro valore intrinseco, serve soltanto a sparlare di noi Si criticano spesso cose futili come l’apparenza, la famiglia, tutte cose che non ci dicono nulla del valore di una persona. Certo, anch’io ho subito qualcosa del genere. Ma va ricordato sempre che quello che si dice di male di una persona, non ha nessun rapporto con il valore autentico di quella persona»

Ma lei permetterà ai suoi figli, Raphael, che oggi ha quasi 6 anni, e Balthazar, che ne ha uno, di usare i social, quando saranno cresciuti?

«Penso che insegnerò loro a essere abbastanza solidi nei propri valori, per dare pochissima importanza a queste cose. Certo però che il dolore di un figlio è diffìcile da affrontare. Ancora non so bene come mi comporterò, non riesco a deciderlo razionalmente adesso»

E anche per questo che lei vuole introdurre la filosofìa fin dalle elementari?

«Sì, perché abbiamo constatato che fin da piccoli i bambini si pongono domande sullo stato del mondo, sull’ambiente. Vogliamo dare loro la possibilità di iniziare a riflettere su tutto questo fin dai primi anni. Scienza e tecnologia stanno rivoluzionando in profondità le nostre vite, e questo deve indurci a riflettere su cosa significa davvero oggi essere uomini».



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