Il centrodestra stravince in Umbria, il modello M5S-Pd è già naufragato



Questo articolo in breve

Alle elezioni europee del 26 maggio Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, in Umbria, raggiunsero insieme il 51%, contro il 43% delle sigle che poche settimane dopo avrebbero formato il governo giallorosso. Un risultato clamoroso, merito soprattutto del partito di Matteo Salvini, primo col 38% dei voti. Sembrava impossibile che un simile divario si ampliasse ieri, in una regione che ha sempre eletto governatori rossi. Sebbene la vittoria del centrodestra fosse prevedibile, nessuno avrebbe scommesso su un distacco maggiore di quello di allora. Anche perché l’alleanza tra sinistra e Cinque Stelle garantiva al loro candidato, Vincenzo Bianconi, una base di elettori solida, almeno sulla carta.



Quanto bastava per giocarsela bene. Perdendo, magari. Ma restando comunque entro i confini della dignità. Invece la cacciata dei post-comunisti dal governo dell’Umbria è avvenuta nel modo più umiliante. I primi numeri diffusi alla chiusura dei seggi dai diversi istituti fotografano una distanza addirittura superiore ai 20 punti tra i portabandiera delle due coalizioni, con la Lega vicina al 40 % del territorio italiano, regione dopo regione. L’Umbria si somma a Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Trentino, Molise, Basilicata, Sardegna e Abruzzo.

Tutto lo schieramento si è compattato e il successo è dell’intera coalizione, ma è indubbio che il merito più grande vada al leader della Lega, Salvini, che una settimana fa è stato riconosciuto da Berlusconi in piazza come capo del centrodestra e che da solo vale quasi il doppio dei suoi alleati messi insieme. Il suo partito ha raggiunto un risultato inaspettato. Conte, che ha scelto l’occasione peggiore per trasformarsi da premier super partes in capo politico,ha mentito quando, pochi giorni fa, dichiarò che la consultazione non valeva granché, perché l’Umbria è grande quanto la provincia di Lecce.

La sfida andava ben oltre quella tra i due candidati, Tesei per il centrodestra e Bianconi per i giallorossi. Il test regionale era più importante dei precedenti sette non perché l’Umbria conti più di Piemonte o Molise ma in quanto era la prima chiamata al voto dopo che Salvini ha fatto cadere il governo, lo scorso agosto. Le urne dovevano dire se la mossa aveva interrotto,o quanto meno incrinato, il rapporto di fiducia tra Matteo e il suo elettorato. Pare proprio di no; anzi, l’addio a Di Maio sembra aver aumentato i consensi della Lega, che esce dal voto rilanciata come partito e nella figura del suo leader. Il risultato è ancora più clamoroso se si pensa che il Pd governava incessantemente la Regione da 49 anni, ovverosia da quando essa è stata costituita. Dopo i capoluoghi, Perugia e Terni, già passati al centrodestra, l’intero territorio è capitolato. Ma un conto sono i Comuni, altro è la Regione. Nelle urne è andata in scena una rivoluzione, perché fino a ieri tutto il sistema Umbria si basava sul rapporto tra i Dem e il potere regionale.

In quelle terre il partito una volta ti portava dalla culla alla tomba, aiutandoti spesso a trovare il lavoro. Oggi l’Umbria è verde non per la sua natura rigogliosa maper la scelta politica univoca dei propri abitanti. A giustificare il cambio al timone non può essere solo lo scandalo della sanità scoppiato la scorsa primavera, e neppure le promesse della Tesei, candidato che ha lasciato il passo a Salvini, protagonista assoluto della campagna elettorale. La bocciatura della sinistra, gettata via come una camicia lisa e strappata, testimonia l’esasperazione e la delusione degli umbri verso chi li ha condotti finora e nello stesso tempo la loro aspirazione a essere governati dal modello leghista, che già guida Lombardia, Veneto, Trentino e Friuli Venezia-Giulia.



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