Marco Pantani è stato ucciso, ma quale suicidio



Che la giustizia il caso è chiuso: Marco Pantani è morto a causa di un’overdose di cocaina e psicofarmaci in una stanza del residence ‘Le Rose’ di Rimini. Era il 14 febbraio 2004. La triste fine di un ciclista, di un campione, del Pirata che aveva fatto sognare gli sportivi grazie alle epiche imprese del 1998, anno in cui vinse sia il Giro d’Italia che il Tour de France. Ma la verità giudiziaria non ha mai convinto i suoi familiari né i fan che negli anni sono venuti a conoscenza di fatti oscuri, tra cui la confessione di Renato Vallanzasca, criminale della Mala milanese degli Anni ’70, che in carcere avrebbe ricevuto una soffiata da un camorrista: «Mi dissero di scommettere contro Pantani perché non avrebbe finito il Giro». Il Giro era quello del 1999, che il corridore romagnolo stava dominando prima della squalifica per doping del 5 giugno a Madonna di Campiglio: livelli di ematocrito troppo elevati.



Da qui l’ipotesi di un complotto: la criminalità organizzata, dedita anche alle scommesse clandestine, doveva impedirne il successo perché non sarebbe stata in grado di ripagare coloro che avevano puntato sullo scalatore con la bandana. Di certo c’è che da quello stop Pantani non riuscì più a ripartire, anche nella vita: «Mi sono rialzato dopo tanti infortuni, questa volta abbiamo toccato il fondo, sarà dura». Sprofondò in una forte depressione e divenne vittima di comportamenti ossessivi. Nella stanza a soqquadro in cui fu ritrovato cera, vicino al suo corpo, una pallina di cocaina che gli infermieri non avevano rilevato. Chi l’avrebbe adagiata? Perché? Domande che hanno stimolato il dibattito non solo nei bar sport ma anche in commissione parlamentare Antimafia. Ma la procura di Rimini ha stabilito che «non c’è nessun nuovo elemento» che possa giustificare la riapertura delle indagini.

«CERCAVANO 20MILA EURO»

«Marco non sniffava ma fumava e in quella stanza c’è solo traccia di cocainomani che sniffavano». Lo ha rivelato nei giorni scorsi Fabio Miradossa, spacciatore napoletano che riforniva Pantani e sarebbe stato a conoscenza di come il suo cliente consumasse la droga. «Non è morto per cocaina, è stato ucciso» ha proseguito l’ex pusher, condannato per avergli venduto l’ultima dose tramite ‘il corriere’ Ciro Veneruso, «magari chi l’ha ucciso non voleva farlo». Poi Miradossa ha sollevato un particolare finora inedito: «Marco aveva prelevato 20mila euro a Milano (prima di dirigersi a Rimini ndr), al pm ho detto cercate i soldi’ perché chi lo ha ammazzato cercava i soldi. Io sapevo che quei soldi erano per me, per la cocaina e un po’ per un debito vecchio. Perché non indagano su questo?» Quando ha appeso del decesso del Pirata è andato in panico, ma sapeva che la dose fornitagli da Veneruso non poteva esserne la causa: «Non si può morire per 15-20 grammi di coca, perché per chi fuma crack non corrispondono». E ancora: «Hanno detto che era in preda al delirio per gli stupefacenti, eppure sono convinto che quando è stato ucciso era lucido». Insomma, chi avrebbe ‘inquinato’ la scena del crimine non era informato sulle abitudine del ciclista, altrimenti si sarebbero dovute trovare bottiglie di plastica, carta argentata e bicarbonato per preparare il crack. Miradossa non crede al suicidio: «Non scherziamo, può essere stato un debole che ha reagito buttandosi nella droga, ma che abbia voluto uccidersi lo escludo».

«IL CADAVERE È STATO SPOSTATO»

«C’è qualcuno che dà fastidio, chiamate i carabinieri» era stato l’appello inascoltato di Pantani alla receptionist del ‘Le Rose’ qualche ora prima della morte, avvenuta secondo la relazione del medico legale tra le 11.30 e le 12.30. Si è sempre detto che il Pirata fosse rimasto sempre chiuso in camera (era arrivato il 9 febbraio) e non avesse visto nessuno, invece un inviato de Le Iene è riuscito a raccogliere alcune testimonianza contrarie: «Una mia amica è stata con lui il 14 febbraio» ha svelato una prostituta, mentre un barista gli avrebbe servito un caffè il giorno prima. Se chi era di turno nella hall non l’ha mai visto uscire né si è accorto di movimenti sospetti è perché «l’albergo, usato per passare anche qualche ora di intimità, era accessibile anche da un garage che esorbitava dai controlli». Lo ha specificato Umberto Rapetto, ex generale della Guardia di Finanza, nominato dai genitori di Pantani come membro di un pool investigati. Ha sfruttato quell’accesso secondario il suo boia, ammesso che fosse uno, per raggiungerlo in stanza? C’è un verbale del medico dell’Asl di Rimini a giustificare l’ipotesi di una colluttazione: «Vistose macchie ipostatiche sul volto, sul torace e sulle gambe, escoriazioni sul capo, uscita ematica dalle narici, conseguenza della probabile lesione del setto nasale». Inoltre sul pavimento, in prossimità del cadavere, cerano macchie di sangue la cui traccia fa pensare a un trascinamento del braccio che, secondo Rapetto, è incompatibile con la posizione dello stesso al momento del ritrovamento: «Non si può pensare che sia stato il ciclista a strisciare il braccio prima di esalare l’ultimo respiro». Dunque qualcuno avrebbe spostato il corpo.



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