In Corea del Sud e a Singapore gli smartphone hanno aiutato a ridurre i contagi. Anche Israele pensa di usarli. E ora pure l’Italia



Nelle prime fasi della battaglia per il contenimento della pandemia, alcuni Paesi hanno sfruttato la tecnologia delle loro reti cellulari per limitare la diffusione del virus. Si sono seguiti tre approcci. A Singapore, il governo ha incrociato i dati sulle persone infette con i loro spostamenti registrati dagli operatori telefonici [conoscendo la posizione di un apparecchio rispetto a tre celle è possibile localizzarlo con la stessa precisione di un Gps, ndr] per individuare i possibili contagiati e metterli in quarantena prima che possano a loro volta contagiare altre persone.



Su base volontaria, poi, si può installare sullo smartphone una app: quando ci si avvicinava a un altro telefono con la stessa app gli apparecchi si scambiano i rispettivi codici identificativi e in caso di ricovero i medici possono rintracciare tutti i contatti. In Corea del Sud si è andati oltre con un sistema che invia allarmi via sms in caso il cellulare attraversi zone nelle quali si siano registrati dei contagi. Israele può contare sul programma più avanzato.

Si è infatti scoperto che dal 2002 i servizi segreti di Tel Aviv possono avere a disposizione i dati degli spostamenti di tutti gli smartphone del Paese al fine di prevenire attacchi terroristici e il governo ha autorizzato gli stessi servizi a impiegare questa tecnologia per tracciare gli spostamenti di tutti i cittadini con lo scopo di ricostruire i contatti di chi risulta infetto.

Ora il ministero dell’Innovazione italiano ha lanciato un appello per verificare l’applicazione dei programmi analoghi in Italia. Bisogna dire che a oggi non esistono studi sulla reale efficacia di queste strategie che certo minano la nostra privacy.



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