La quinta cappella a sinistra del coro di Santa Croce, che ha il nome degli antichi patroni – i Bardi di Vernio – e custodisce i loro sepolcri, è decorata di affreschi che illustrano le storie di San Silvestro vescovo di Roma e dell’imperatore Costantino, dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine.Sono opera di Maso di Banco, la più importante di quelle sicuramente attribuibili a questo maestro, fra i giotteschi della prima generazione «omnium delicatissimus» come scrisse il suo più antico biografo, Filippo Villani.
Dai documenti oggi conosciuti, ancorché scarsi, sappiamo che furono dipinti nel secondo quarto del Trecento forse, iniziati quando Giotto era ancora vivo e da non molto aveva ultimato la vicina cappella Peruzzi, e terminati poco dopo il 1340.
Sulle pareti laterali della cappella, in cinque vasti riquadri, si svolgono gli episodi salienti del racconto, resi però in una sintesi compositiva e formale che sostituisce un pacato e solenne narrare all’incalzante succedersi di quei fatti straordinari nella Leggenda di Jacopo. E quanto al soggetto del ciclo – la storia e i miracoli di San Silvestro papa -, sulla via delle considerazioni dell’Antal, penseremmo che la scelta potè essere un omaggio intenzionale dei Bardi, banchieri del papa, ai gusti della curia romana.
Cominciando da sinistra:
1. l’imperatore Costantino, malato di lebbra, rinuncia per la disperazione delle madri al rimedio suggeritogli di bagnarsi nel sangue di tremila bambini e i santi Pietro e Paolo, in sogno, gli assicurano la guarigione col lavacro battesimale, impartitogli da Silvestro, vescovo di Roma. Il che puntualmente avviene. Due altri fatti miracolosi operati da Silvestro valgono a confermare la sua santità e la conversione dell’imperatore: dinanzi a Costatino e alla sua corte.
2. Silvestro resuscita un toro
3. Nelle desolate rovine del Foro, il Santo chiude le fauci di un drago che seminava la morte
4. resuscita due maghi pagani, già vittime del mostro.
5. Figure di Santi e Virtù, un Giudizio finale con Bettino Bardi, dove si individua anche l’intervento della bottega, e una Deposizione di Cristo nel sepolcro, riconosciuta opera di Taddeo Gaddi, completano la decorazione della cappella.
È certo che Maso si accinse all’impresa prendendo l’avvio dal Giotto più tardo, proprio quello di Santa Croce e nelle Storie di San Silvestro ritroveremo per un verso il monumentale equilibrio compositivo, il sentimento senza dramma delle storie di San Francesco della Cappella Bardi, e per l’altro il colore vibrante e luminoso, arricchito d’esperienze senesi e forse anche settentrionali, della Cappella Peruzzi.
Senonché, il ritmo di Maso è anche più serrato, il suo comporre anche più monumentale, i suoi spazi anche più dilatati, o profondi, razionalmente scanditi. All’intento narrativo che altri giotteschi perseguirono popolando le loro storie di personaggi e d’episodi, Maso preferisce una sintesi compositiva che quasi decanta quei fatti e li fissa nel tempo e nello spazio; anziché la vivacità, la freschezza del racconto, una serenità pacata resa proprio «mirabili et incredibili venustate», per citare ancora il Villani.
Così, queste storie ci paiono singolarmente «prospettiche», poiché presuppongono per lo spettatore non già la lettura trascorrente e aggiuntiva, ma invece la contemplazione da un unico punto di vista. E anche la scala dei personaggi ci appare ingigantita nei fermi volumi contornati di scuro contro i fondi di architetture nette o di vaste campiture di colore, quasi ad aumentare l’autorità dei protagonisti, la loro umanità piena di decoro, il loro calmo lento gestire. Tanta essenzialità non pare insidiata dalla pur reale e squisita ricchezza dei particolari, che il pittore individua e cesella con estrema minuzia, come nei più grandi senesi e specie in Ambrogio, col quale più stretta è l’affinità e indubitabile il rapporto.
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