Paolo Rossi chi è la moglie Federica Cappelletti, Figli e Funerali



All’offertorio, Federica prende a sé Maria Vittoria e Sofia Elena. Le tre donne di Paolo fanno due passi. Federica sfiora il legno chiaro, poi si accoccola con le figlie davanti alla bara e sussurra loro parole che solo loro possono ascoltare. Ne accarezza i capelli, le stringe forte.



Rimangono così per cinque minuti, mentre il sacerdote continua la celebrazione e le lacrime rigano gli occhi di molti. Il gesto di Federica tocca il cuore, come il suo coraggio, il suo dolore, la sua voglia di onorare il marito in ogni modo, nel cerchio concentrico dell’onda d’amore sollevata dalla scomparsa di Pablito. Fabio Guadagnini, amico di Paolo, parla a braccio cercando di vincere la commozione che l’assale passo dopo passo. Ci riesce.

Cita Sant’Agostino e dice cose vere come le parole sulla morte del vescovo di Ippona. I funerali di Rossi sono funerali di popolo, composti, commisurati al dolore che leggi in ogni sguardo che incroci. Dentro il Duomo e fuori, sulla piazza. Vicenza, che al calcio ha dato due Palloni d’Oro, porge l’ultimo saluto con stile e rispetto, lo stesso mostrato venerdì, allo stadio Menti dalle migliaia di uomini, donne, ragazzi, ragazze che silenziosamente hanno sfilato davanti al feretro.

Con discrezione pari alla dedizione, il Vicenza dei Rosso mostra di essere degno del suo uomo simbolo e di quella maglia che l’accompagna nell’ultimo viaggio. A uno a uno, passano gli Eroi dell’82. Hanno tutti gli occhi lucidi. Arrivano in punta di piedi, si salutano, fanno pugno contro pugno o si sfiorano i gomiti, prima di sorreggere la bara di Paolo, sia all’ingresso in chiesa sia all’uscita. Caterina e Fulvio Collovati sono appena usciti dal Covid. «L’ultimo tampone l’ho fatto venerdì – sussurra Fulvio – Esito negativo. Caterina ed io ci stiamo rimettendo in sesto, anche se la strada è ancora lunga. Ma come potevamo non essere qui?». Se lo chiede anche Franco Selvaggi.

Da Matera a Vicenza ci sono quasi 900 chilometri. «Ho guidato per tutta la notte, riparto dopo il funerale, volevo esserci a ogni costo». Dopo la Messa, prima che il carro funebre parta, Federica abbraccia i campioni del mondo, li ringrazia, li stringe forte come stringeva forte Maria Vittoria e Sofia Elena prima dell’offertorio, come ha stretto forte Alessandro e Simonetta. Poi si volta, Roberto e Andreina Baggio la circondano subito con il loro affetto. Roberto ha appena pianto. Non c’è bisogno di parole. Le sussurro: «Sii forte, come sei sempre stata». «Lo sarò. L’ho promesso a Paolo».

Un tono sotto. Che non vuol dire sottotono, bensì il contrario. Tutti e tutto, un tono sotto. Come ci ha insegnato PaoloRossi – sì, tutto attaccato – maestro di vita vissuta con misura nonostante avesse potuto indossare i panni di Supereroe con quei 6 gol che nel 1982 consegnarono all’Italia e agli italiani il Mondiale.

E così, quasi come per magia, nel giorno dell’ultimo saluto nella sua amata Vicenza, garbata e bella come lui, il mondo intorno al Duomo sembra diretto dai suoi modi gentili: un tono sotto. La luce chiara di un mattina fredda ma non troppo, il sole a illuminare senza invadere e plasticizzare una scena che non doveva concretizzarsi così presto. La bara in legno giovane e pulito, semplice come quel suo sguardo che parlava e anticipava i pensieri, poi più belli.

La gente intorno che preferisce non parlare e se proprio deve lo fa a bassa voce, del resto nessuno tra i circa 500 presenti è convinto di avere qualcosa di così importante da aggiungere a una realtà che lascia muti e tristi.

Anche i suoi compagni dell’avventura azzurra più bella del dopoguerra preferiscono tacere o limitarsi al minimo sindacale. Non tutti ci riescono. Gentile prova a fare il duro come gli riuscì in Spagna annullando prima Maradona e poi Zico in campo, ma davanti ai microfoni non ci riesce e la mascherina anticovid nasconde l’emozione solo per un secondo in più: un parola e poi il volto abbronzato e nemmeno sfiorato dal correre degli anni diventa rosso, come gli occhi che sgorgano di colpo lacrime, seguite da singhiozzi potenti. Parlare all’imperfetto di un caro è la prima abitudine strana e cattiva con cui bisogna fare i conti e provare ad abituarsi.

Cercano di non piangere i compagni di Nazionale al funerale del loro PaoloRossi. Ci riescono i pochissimi che a Vicenza non ci sono potuti venire per malanni dell’età o degli imprevisti, da Zoff a Graziani, commossi nelle case davanti alla tv che ha trasmesso in diretta Rai il funerale. Per tutti gli altri azzurri arrivati invece davanti all’ingresso della chiesa è durissima da subito, per diventare poco dopo crudele quando si ritrovano in fila, stavolta non per scendere in campo e difendere i colori della Nazionale o per una partita amarcord di beneficenza che fa bene al cuore ma per alzare la bara del loro e del nostro bomber e portarla dentro la chiesa, passando davanti al pubblico vicentino compostissimo che accenna un timido “Paolo, Paolo, Paolo”. No, nessun fumogeno, nessun mortaretto.

Nel breve ma lunghissimo tragitto le lacrime non le riesce a gestire Collovati che piange come un bambino cercando di nascondere lo sguardo contro il legno salendo i gradini prima del portone, mentre un’ora dopo, all’uscita, tocca a Bruno Conti, porzione di legno in spalla, lasciarsi andare senza freni, troppa la commozione per riuscire a trattenerla. In testa a muovere il feretro Cabrini e Tardelli, che tengono duro con dietro Antognoni, Bergomi, Marini, Dossena, Causio, Altobelli, Oriali e Selvaggi che provano a imitarli. Un funerale nel nome di Paolo, dove tutti si sono assunti l’onere di provare a non disturbarsi e disturbare troppo, come amava fare il loro amico.

Per l’ultimo saluto i suoi compagni del Mundial 82, tanti ex calciatori, da Bettega a Roberto Baggio, da Tacconi ad Aldo Serena, da Galderisi a Maldini; Gabriele Gravina, presidente della Figc; il presidente del Lanerossi Vicenza, Stefano Rosso; il vessilo del Verona, il club con cui ha chiuso la carriera; il gagliardetto della Juve, privata in extremis del presidente Andrea Agnelli, bloccato a Torino per motivi familiari e, nei primi banchi, i suoi cari. La moglie Federica che ha voluto accanto a sé le piccole Sofia Elena e Maria Vittoria e la sua prima sposa, Simonetta, con il figlio grande, Alessandro. L’Italia ha pianto con loro PaoloRossi. Da oggi, loro, potranno pensare solo a Paolo. E chi lascia un ricordo a colori come il suo, anche se fa male, proprio perché fa male, aiuta. Tremendo, ma è così.

Federica Cappelletti di professione è una giornalista, Nata nel 1972, a Perugia. E’ laureata in Lettere Moderne presa a Perugia, una in Scienze della Comunicazione conseguita a La Sapienza di Roma, attualmente è ancora sui libri per laurearsi in Psicologia. Ha lavorato per diversi quotidiani cui la Nazione il Giorno.

Insieme a suo marito scrissero libro edito da Mondadori “Quanto dura un attimo” pubblicato nel 2019 che racconta la parabola del giocatore che in due anni passò dalla squalifica per il calcioscommesse al tetto del mondo con il Mondiale dell’82.

Federica  Cappelletti con Paolo Rossi

La coppia si è conosciuta più 22 anni fa, nell’estate del 2008, il loro è stato un vero colpo di fulmine. Lei è più giovane di 16 anni, ma la differenza non conta: i due si fidanzano e lo rimangono per ben 12 anni. Poi il 10 luglio del 2010 Federica e Paolo si sposano in Campidoglio a Roma.

I figli di Paolo Rossi

Dal loro matrimonio sono nate due bellissime  bambine, Maria Vittoria, la maggiore di 10 anni, e Sofia Elena, di otto anni. Ricorderete alcuni anni fa quando Paolo e sua moglie andarono alle Maldive per rinnovare la loro unione e si risposarono sulla spiaggia.

Paolo Rossi ha tre figli. Il più grande è Alessandro che oggi ha 38 anni, è nato l’anno del mitico Mundial, avuto dal primo matrimonio dell’ex attaccante con Simonetta Rizzato. Alessandro non ha seguito le orme paterne e al pallone ha preferito compasso e squadre. E’ diventato infatti un geometra ed ha lavorato con il padre quando vivevano a Vicenza e l’ex calciatore aveva messo su una società immobiliare-



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