La storia di Aleksey Anatolievich Navalny chi è: sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento. Attualmente è in carcere in Russia



Aleksey Anatolevic Navalny è tra gli oppositori più tenaci di Vladimir Putin. Da leader politico e dissidente ha saputo mettere più volte in difficoltà il regime russo. Nell’agosto di due anni fa, a bordo di un volo da Tomsk, in Siberia, a Mosca perse conoscenza e solo il tempestivo intervento dell’equipaggio prima e il trasferimento in un ospedale di Berlino poi lo salvarono dalla morte per avvelenamento da novichok (lo stesso agente nervino usato almeno in un’altra occasione contro l’ex agente segreto russo Sergej Skripal e sua figlia, in Inghilterra).



Tuttavia la morsa del Cremlino si è stretta comunque su di lui: nel marzo di quest’anno un tribunale di Mosca lo ha condannato a 9 anni di carcere da scontare in una colonia di regime severo. Parliamo del caso Navalny con Anna Zafesova, giornalista ed esperta di Russia e Putin, autrice di Navalny contro Putin – Veleni, intrighi e corruzione. La sfida per il futuro della Russia (Paesi Edizioni, pagine 160, euro 18).

Come racconterebbe Aleksey Navalny a chi non lo conosce? «È un personaggio con molte facce: un politico, un bravissimo giornalista d’inchiesta, un eccezionale organizzatore che ha inventato un modello di azione politica 2.0 tutto da studiare. È un dissidente, in quel senso ormai semidimenticato di questo termine di epoca sovietica: è più di un oppositore, perché l’oppositore è un lavoro, spesso temporaneo, il dissidente è una scelta di vita, dove l’impegno politico diventa una testimonianza.

Ci vuole coraggio e Navalny è un uomo estremamente coraggioso, che dopo essere sopravvissuto a un avvelenamento è tornato in Russia sapendo di andare incontro al carcere». Lei scrive “Navalny ha scommesso sull’immagine di un ragazzo della porta accanto, un self made man della provincia, uno che non doveva niente a nessuno e non si sentiva vittima di nulla”: un’immagine reale o costruita? «È difficile costruire un’immagine convincente dal nulla.

Tantissimi russi possono riconoscersi nella biografia di Navalny, figlio dell’Unione Sovietica – padre militare e infanzia in una guarnigione alle porte di Mosca – e del suo melting pot, metà russo e metà ucraino, ma anche parte di quella prima generazione entrata nell’età adulta già sulle rovine del totalitarismo. Sicuramente Navalny è stato molto attento a non indossare i panni dell’elitista: è stato l’unico leader dell’opposizione liberale russa ad aver capito l’importanza di rappresentare un disagio economico e sociale e non soltanto legato alle libertà politiche e ai diritti umani e ad andare a costruire una rete in quella provincia che molti consideravano una palude reazionaria senza speranza».

Vuole spiegare la teoria di Navalny del “voto intelligente”? «Si tratta di individuare il candidato non affiliato al potere con maggiori possibilità di vittoria e cercare di convogliare tutto il voto antisistema su di lui o lei. Un trucco che ha suscitato molte discussioni, e che sicuramente non avrebbe senso se non in un autoritarismo, dove tutto il sistema amministrativo e mediatico è schierato con il potere.

Il “voto intelligente” di Navalny ha privilegiato molto spesso i comunisti, che in Russia non sono un’opposizione reale, almeno non a livello federale, ma l’obiezione di Navalny è stata quella che fosse necessario introdurre nel sistema giocatori alternativi, partendo dal basso, e che la presenza di politici di schieramenti diversi avrebbe avuto un effetto virtuoso al di là delle idee di alcuni di questi politici. Il “voto intelligente” ha funzionato molto bene nelle elezioni amministrative dei grandi centri urbani: nel 2019, non ha tolto la maggioranza a Russia Unita a Mosca per un seggio e alle elezioni alla Duma del 2021 è stato necessario ricorrere a brogli plateali per bloccarne i candidati nelle circoscrizioni uninominali.

Un dibattito che comunque non è più di attualità: il regime di Putin è passato da un autoritarismo a una dittatura, anche per soffocare quel fronte di protesta che il “voto intelligente” stava facendo emergere». È vero che la moglie Yulia Borisovna Navalnaja è “più radicale di lui”, come sostiene Navalny? «È quello che dice lui, non possiamo che fidarci. Sicuramente Yulia è molto esplicita e dura quando si tratta di esprimere le sue idee, ma di solito preferisce rimanere un passo dietro il marito.

È una componente fondamentale della sua immagine e ha un nutrito esercito di fan, tanto che si è vociferato di una sua discesa in campo a sostituire il marito in prigione. Per ora ha preferito non indossare i panni della Winnie Mandela russa, preferendo rimanere una First Lady del dissenso discreta e dedita a sostenere il marito e i figli». Navalny spesso è stato al centro di episodi controversi e accusato di nazionalismo.

Qual è la sua opinione in merito? «Navalny è un politico che nel tempo ha vissuto un’evoluzione come tutti i politici, ma non è mai stato un nazionalista. Ha cercato di cooptare parte dei nazionalisti perché quella di cercare di costruire alleanze ampie è sempre stata la sua chiave politica: un tentativo che gli viene ancora rimproverato da alcuni commentatori liberal occidentali che probabilmente ignorano il fatto che è stato proprio Navalny a denunciare e spedire in carcere uno dei leader neonazisti russi, e che secondo i putiniani nazionalisti – perché il suprematismo russo è rappresentato in Russia proprio dal Cremlino – lui è un infiltrato al soldo dei democratici USA e del globalismi sionista (nei siti nazionalisti viene spesso presentato come ebreo nascosto).

Per quanto riguarda lo slogan “Basta dar da mangiare al Caucaso”, è vero che il razzismo nei confronti dei caucasici è molto diffuso nella popolazione russa, ma la natura di quella richiesta era molto più politica: nessuna regione della Federazione ha abitanti più poveri e classe dirigente più sfacciatamente ricca e il meccanismo con il quale Mosca si è comprata il consenso e i voti nelle repubbliche caucasiche si vede molto bene in Cecenia, il cui presidente Ramzan Kadyrov ha introdotto la sharia, imponendo il velo alle donne e la poligamia, e torturando e uccidendo gli omosessuali. In tutte le sue dichiarazioni e interviste Navalny ha proposto come obiettivo una Russia che si ispiri al modello democratico europeo e che abbandoni quel sogno imperialista in nome del quale oggi Putin sta bombardando l’Ucraina».



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