Leonardo Pieraccioni è tornato al cinema col suo ultimo film



Leonardo Pieraccioni è tornato al cinema col suo ultimo film, Il sesso degli angeli, nei panni di un prete con protagonisti Sabrina Fenili, Marcello Fonte, Massimo Ceccherini e non solo loro. Come è nata l’idea di questo suo 14’ film?



«L’idea è arrivata all’improvviso: tutto è nato da una battuta, mentre ne scrivevo un altro che poi ho accantonato. In un momento così particolare per il mondo e il cinema italiano, cercavo una storia frizzante. Mi divertiva l’idea di dar vita ad un aperto contrasto tra due mondi distanti tra loro, il sacro e il profano, e porre il mio personaggio davanti ad un bilancio della propria vita, proprio come capita di fare a me oggi a 57 anni, un’età in cui ti guardi indietro e fai bilanci.

A trenta e quarantanni ho raccontato l’amore travolgente, di quelli che si vedono solo nei film. A cinquant’anni le crisi della mia generazione. A quasi sessantanni mi toccano ora i ruoli del prete, come tra qualche anno quelli del nonno!» (ride, ndr).

Cosa tratta la storia?
«La vicenda ha come protagonista don Simone (Pieraccioni n.d.r.), Don Si-mone, un prete di frontiera, con una chiesetta sempre in difficoltà e mai frequentata dai ragazzi che preferiscono, piuttosto, lo “stare insieme” i social. Finalmente Don Simone riceve una fantastica notizia: un eccentrico zio gli ha lasciato in eredità un’avviatissima attività in Svizzera che potrà risollevare le sorti economiche del suo oratorio sempre deserto. Ma arrivato a Lugano il nostro prete scopre di aver ereditato un bordello. Al di là della boutade dell’argomento, c’è il tentativo del prete di redimere le ragazze “in vendita” per proseguire poi con i dubbi di un sacerdote 5 benne che si interroga sulla sua vita».

E lei che rapporto ha con la fede?
«Sono a metà tra San Tommaso e Margherita Hack. Credo dunque che potrebbe finire in un grande “boh”. Qualora però mi si presentasse il buon Dio davanti, mi getterei in ginocchio e da bravo cabarettista gli direi “ci ho sempre creduto” e gli chiederei di mettermi ai piani alti dove sicuramente troverei il mio babbo e il mio nonno! Io sono della generazione che frequentava tantissimo l’oratorio di Sant’Ambrogio a Firenze e ci passavo tutti i miei pomeriggi ed è stata davvero un’infanzia meravigliosa. Adesso fanno fatica i ragazzi di oggi: l’oratorio’ della mia figliola che ha 11 anni (Martina n.d.r.) è Instagram, si incontrano in videochiamata. Mah!» Questo è un film che ha voluto fortemente andasse in sala…

«L’home video è comodo, ma personalmente quando sono al cinema, lo schermo si illumina e inizia il film, quell’emozione lì non riesce a restituirmela nessun altro schermo, è una goduria, un piccolo rito. Meglio 30/40 persone, ma in sala!. Ci vado spesso al cinema con mia figlia a vedere i film che piacciono a lei, fantasy o supereroi e ogni volta ci guardiamo e ci diciamo “ma quanto è bello!”. La mia missione da 30 anni è far divertire la gente. Quelli come me, hanno Traisi capostipite, il primo a fare film in cui ‘il cappottino’ è cucito addosso: io dirigo i miei film perché conosco i miei limiti. Una signora mi fermò a Torino e mi disse: ‘Mi hai fatto  star bene due ore”. E la mia soddisfazione, tutto il resto, i premi, è grasso che cola».



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