Un uomo adagia lentamente il corpo della madre anziana in una grande vasca e, con attenzione e delicatezza assolute, la lava accuratamente con una spugna. È la scena più tenera del nuovo film di Mario Martone Nostalgia, presentato in concorso al 75˚ Festival di Cannes e ora al cinema.
Tratto dal romanzo omonimo di Ermanno Rea, racconta il viaggio verso a casa di Felice Lasco, che dopo quarant’anni al Cairo torna a Napoli, nel rione d’origine, Sanità. A interpretarlo, con tutto il talento e l’umanità di cui è capace, c’è Pierfrancesco Favino: «Questo film racconta una bellissima storia di amore e amicizia.
Mi è difficile parlarne in maniera razionale, per me è stata un’esperienza profondamente viscerale. Un film di pancia, in cui mi sono lasciato molto andare, mi sono come perso dentro il labirinto ammaliatore del quartiere Sanità. È stato davvero un grande viaggio in cui ho scoperto libertà espressive e zone di me sconosciute, che non avrei potuto esplorare altrimenti ».
A dividere il set con Favino ci sono Tommaso Ragno, nei panni dell’amico di infanzia diventato boss della camorra Oreste, e Francesco di Leva, in quelli del parroco salva-vite Don Luigi. Aurora Quattrocchi, 79 anni, interpreta invece sua madre: «Sentivo sul set luccichii intorno a me, mai avevo vissuto un film con questa intensità. Pierfrancesco è stato importantissimo per me, a prescindere dalla sua bravura che conosciamo, per la sua delicatezza e la sensibilità che mi ha dimostrato». «Ehhh, che volete, la mamma è sempre la mamma», commenta Favino abbracciandola, mentre prende la parola quella che nel film è la donna della sua vita, la cantante e attrice marocchina Sofia Essaïdi: «La pricinema ma volta che ho incontrato Mario Martone mi ha detto: “Voglio che rappresenti l’amore”. Mi è parso un segno del destino: quello per cui lotto ogni giorno è proprio mettere più amore nella mia vita ».
Oltre all’amore, per la moglie, per la madre, per l’amico del cuore e per la sua Napoli, il sentimento portante nel cuore del protagonista è, come svela il titolo, la nostalgia. In tempi di guerra e di pandemia, di che cosa ha nostalgia oggi Favino? «Mi manca, su tutto, la condivisione e il senso della comunità. Per fortuna attraverso il mio mestiere, profondamente collettivo, posso replicarla. Mi manca l’idea della fiducia, quel poter stare vicino a chi non conosciamo senza timore.
Oggi ragioniamo per algoritmi, film come Nostalgia ci invitano invece a ricordarci della pancia e del cuore e ad accettare le incertezze della vita come gesto artistico e creativo di cui abbeverarci con arsura». La nostalgia, tra l’altro, impone di tornare indietro nel tempo, ai ricordi delle prime amicizie: «Ho ripensato quando a quindici anni ero tutto e niente, guardavo all’amico del cuore con stima perché lui era quello che avrei voluto essere io.
Il migliore amico di quegli anni lì è qualcuno che ti completa, con cui scatta un legame immediato e profondo simile a un innamoramento. È quel che capita al mio personaggio, così legato al suo amico Oreste, eppure improvvisamente c’è uno strappo, accade qualcosa di brutto e lui viene portato dallo zio in Africa. Ho pensato a che cosa potesse significare per un ragazzo di quell’età andare in un luogo diverso, con una lingua estranea e una cultura differente in cui integrarsi; fino a crederci talmente tanto da abbracciarne usi, costumi, lingua e religione». Nel film vediamo Favino pregare Allah, ascoltare musica araba, addirittura ballare con le tipiche mosse egiziane.
Neanche a dirlo, è sempre perfettamente credibile e convincente. Non c’è da stupirsi, è l’attore italiano che più di tutti ci ha abituati a metamorfosi importanti e continue nei suoi trent’anni di carriera, calandosi nei panni di personaggi più diversi, da Craxi a Bartali, dal Libanese a Buscetta, da D’Artagnan a questo Felice Lasco, ragazzo di strada che ha trovato in Egitto una via di salvezza, un lavoro onesto e una moglie che lo ama. «Lasco è un uomo ricco, che vive nell’agio, con una bellissima moglie innamorata di lui, eppure sceglie di tornare in un luogo povero, triste, forse anche sporco. Mi ha colpito molto, perché in lui la voglia di tornare supera ogni altra considerazione. E quando la fontana delle sue origini torna a zampillare, lui cambia completamente, così anche io ho acquisito un altro corpo e un’altra postura.
Ho parlato sempre più napoletano e ogni tanto sul set i colleghi napoletani mi correggevano. Mi preme far capire che il lavoro sul linguaggio non è un virtuosismo: cambiano i silenzi, i ritmi, i respiri, persino il battito cardiaco quando parli un’altra lingua». Gli applausi per lui non si contano, anche Martone che lo ha scelto come protagonista ne è visibilmente soddisfatto: «Non volevamo rappresentare un eroe, ma un uomo con un comportamento e un’emotività imprevedibili, che ha molto di inesplorato. Favino ha ben saputo interpretare anche quello che c’è prima e dopo il film, qualcosa di misterioso che fa profondamente parte della sua natura».
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