Vaiolo delle Scimmie, ecco quello che devi sapere



Non dovrebbe aver colpito così tante persone. Non dovrebbe essere così contagioso. Non dovrebbe stupirci, dal momento che lo conosciamo da almeno sessant’anni. Eppure è così: il vaiolo delle scimmie, monkeypox, conta già un centinaio di casi in Europa (cinque in Italia) e altri in Canada, Australia e Israele.



Ma soprattutto, a esclusione di un paziente, nessuno dei malati ha riferito di essersi recato laddove questo virus è endemico, nell’Africa occidentale o centrale. Per questo gli esperti definiscono quanto sta succedendo «atipico» e l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato gli eventi un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, alzando l’asticella dei controlli. Il primo caso è stato registrato in Gran Bretagna il 7 maggio in un inglese arrivato dalla Nigeria, ma ora sono già a quota venti. «Se rientra nella normalità registrare uno o due casi l’anno, questa frequenza ha colto di sorpresa», spiega a Gente Federico Gobbi, infettivologo esperto di malattie tropicali e responsabile del reparto Salute globale dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona). Jimmy Whitworth, docente di Salute pubblica internazionale della London School of Hygiene & Tropical Medicine ha spiegato alla Bbc che «la trasmissione da persona a persona è estremamente rara e un focolaio di questo tipo è senza precedenti».

Poteva, infatti, succedere che un ammalato infettasse altri membri della famiglia: non è questo il caso e sulla spiegazione si stanno concentrando i virologi. Cosa può essere accaduto? «Potremmo essere di fronte a una mutazione del virus, oppure potrebbe trattarsi di una sfortunata coincidenza, con un infetto che ha partecipato a un evento finendo con il diffondere il virus», aggiunge Gobbi. La malattia si chiama così perché colpisce di norma piccoli roditori e scimmie dell’Africa orientale e centrale, che possono contagiare gli abitanti dei villaggi.

Ai sintomi simil influenzali si associano eruzioni cutanee, spesso sulle mani, ulcere nella bocca e lesioni nell’area genitale, tutte molto dolorose. La trasmissione avviene durante l’intero decorso della malattia, per contatto ma anche per aerosol, almeno secondo quanto sostiene uno studio statunitense del 2013. Al contrario dell’assai più pericoloso vaiolo, questo desta meno preoccupazioni: “La malattia si risolve spontaneamente in 1-2 settimane con adeguato riposo e senza terapie specifiche”, scrive l’Istituto superiore di sanità (Iss). Talvolta, però, soprattutto tra i soggetti a rischio il tasso di mortalità può essere significativo: l’un per cento per il virus originario dell’Africa occidentale, addirittura il 10 per cento per il ceppo congolese. “Le raccomandazioni prevedono di restare a casa a riposo qualora insorga la febbre e di rivolgersi al medico di fiducia in caso di comparsa di vescicole o altre manifestazioni cutanee.

È importante evitare il contatto con persone con febbre e valutare con attenzione, prima di ogni contatto personale stretto o sessuale, la presenza di manifestazioni cutanee inusuali”, scrive ancora l’Iss. Hans Kluge, direttore della sede europea dell’Organizzazione mondiale della Sanità, invita a non cedere a facili allarmismi: «La maggior parte dei casi attualmente oggetto di indagine in Europa è finora lieve». Una volta che il virus sarà sequenziato potremo avere più risposte, ma nel frattempo gli esperti tranquillizzano: chi in passato è stato vaccinato contro il vaiolo dovrebbe essere al sicuro (si stima una protezione pari a circa l’85 per cento).

In Italia l’obbligatorietà è stata abolita nel 1981 e infatti finora i casi registrati hanno tra i 20 e i 40 anni, «ma è ancora presto per pensare alla necessità di riproporre la vaccinazione », dice ancora Federico Gobbi. L’attenzione comunque è alta. Spiega ancora Hans Kluge «Stiamo entrando nella stagione estiva, con raduni di massa, festival e feste: temo che la trasmissione possa accelerare anche perché i sintomi non sono familiari a molti».



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