Emanuela Orlandi, verranno riesaminate tutte le prove sulla sparizione della ragazza che svanì nel nulla a Roma nel 1983



Sono passati quasi 40 anni dal pomeriggio del 22 giugno 1983 quando la quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente vaticano, scomparve nel nulla. Da allora si sono susseguite decine di piste che hanno coinvolto servizi segreti, gruppi terroristici stranieri, la famigerata banda della Magliana e soprattutto le alte sfere della Curia romana. Non si è però mai arrivati a nulla di concreto. Ora la magistratura vaticana ha fatto sapere che aprirà nuove indagini, anche su sollecitazione della famiglia che in tutti questi anni non si è arresa di fronte all’assenza di risposte.



Il promotore della Giustizia vaticana, Alessandro Diddi, ha dunque aperto un nuovo fascicolo con l’obiettivo di riesaminare tutta la documentazione riguardante il caso. Verranno controllate vecchie piste investigative e verificate tutte le testimonianze. Sarà un lavoro lungo. Emanuela Orlandi sparì quel giorno di giugno dopo essere uscita dalla scuola di musica in piazza Sant’Apollinare. Poco prima delle 19 telefonò a casa dicendo che avrebbe fatto tardi perché non passava l’autobus.

Disse anche che era stata appena avvicinata da un uomo che le aveva proposto un lavoro di volantinaggio. L’ipotesi che venne fatta inizialmente fu che il rapimento potesse essere opera di un maniaco isolato o di una organizzazione che reclutava minorenni fingendo di organizzare provini che consentivano di diventare attrici.

Venne poi ipotizzato che il suo sequestro fosse stato ordinato e portato a termine per esercitare pressioni affinché venisse scarcerato Ali Agca, l’uomo che aveva sparato a Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro il 13 maggio 1981. Nel luglio del 1983 la famiglia della ragazza ricevette in effetti le telefonate di un uomo che parlava con accento anglosassone (i giornali di allora lo soprannominarono “l’amerikano”) che, in cambio della liberazione di Emanuela, chiedeva la liberazione di Agca. Quelle telefonate però poi cessarono con un nulla di fatto.

Nel corso degli anni sono state fatte molte altre ipotesi. Una fonte anonima, nel 2005, affermò che Emanuela era morta durante una festa nella residenza di un alto prelato. Sempre nel 2005, un uomo che non si è mai identificato telefonò alla trasmissione Chi l’ha visto e disse che per capire la scomparsa di Orlandi bisognava andare a controllare chi era sepolto in una tomba nella basilica di Sant’Apollinare. Aggiunse anche di «verificare il favore che Renatino fece al cardinale Poletti».

Renatino era il soprannome di Enrico De Pedis, boss della banda romana della Magliana, molto potente a Roma tra gli Anni 80 e 90 e legata anche ad ambienti dei servizi segreti. Ugo Poletti, morto nel 1997, era stato presidente della Conferenza episcopale italiana. Si scoprì che nella chiesa di Sant’Apollinare, vicino a cardinali e grandi benefattori della Chiesa, era in effetti sepolto De Pedis, assassinato a Roma nel febbraio del 1990. Si scoprì poi che il boss della Magliana aveva fatto ingenti donazioni alla chiesa, “comprandosi” di fatto quella sepoltura così prestigiosa.

A collegare il rapimento di Emanuela alla Magliana furono anche i racconti di alcuni pentiti come Antonio Mancini, detto “accattone”, Maurizio Abbatino, detto “er crispino”, e soprattutto Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano ed ex compagna di De Pedis. Non si è mai trovato però nessun riscontro concreto alle loro rivelazioni. Eppure, rivelazioni e colpi di scena non erano destinati a fermarsi. Nel 2015, il fotografo romano Marco Accetti, fece ritrovare alla procura di Roma un flauto dicendo che era quello di Emanuela. La famiglia Orlandi confermò che in effetti quel flauto poteva essere della ragazza, ma il Dna rinvenuto sullo strumento era troppo esiguo e non fu possibile eseguire test biologici.

Quello stesso anno, durante i lavori di ristrutturazione della nunziatura vaticana, in via Po a Roma, vennero trovate delle ossa. Si ipotizzò che potessero essere quelle di Emanuela Orlandi, ma secondo le analisi dei reperti, quelle ossa hanno più di 100 anni. E ancora: nel 2019 una lettera anonima invitò ad aprire le tombe di due principesse nei sotterranei del cimitero Teutonico vaticano. Anche quella pista però non portò a nulla.

Alcune settimane fa un quotidiano ha pubblicato due audio risalenti al 2009 in cui un appartenente alla banda della Magliana lancia accuse al Vaticano, ma senza mai fare riferimento diretto a Emanuela Orlandi. Si arriva così a oggi, alla decisione del Vaticano di riaprire il caso. Secondo la famiglia Orlandi, la chiave per capire che cosa sia accaduto a Emanuela è proprio all’ombra di San Pietro. Pochi giorni dopo l’elezione di Papa Francesco, nel 2013, il Pontefice incontrò la mamma di Emanuela e le disse «Se è in cielo, preghiamo per lei». Il fratello Pietro Orlandi ha sempre ripetuto: «La cosa certa è che in Vaticano sanno. Il loro comportamento in questi anni mi autorizza a pensarlo». Vedremo se è giunta l’ora della verità.



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