Nel 1998, Antonella Penati incontra Mohamed Barakat, un archeologo egiziano, mentre lavora per una multinazionale farmaceutica. La loro relazione, ambientata a San Donato Milanese, si intensifica rapidamente e, due anni dopo, nasce il loro figlio, Federico. Tuttavia, il benessere della famiglia viene presto compromesso: Mohamed inizia a mostrare segni di un disturbo bipolare, manifestando comportamenti violenti e ossessivi. Antonella, preoccupata per la sua sicurezza e quella del bambino, decide di allontanarlo.
Dopo la separazione, Mohamed avvia una vera e propria persecuzione nei confronti di Antonella. La situazione culmina in una serie di eventi drammatici: lei presenta una denuncia per minacce, lui viene condannato per aggressione e si stabilisce un regime di incontri protetti tra padre e figlio, gestito dai servizi sociali. Federico, cresciuto in un ambiente di paura, esprime il suo rifiuto di vedere il padre: “Mamma non voglio vederlo”. Ma Antonella non ha la possibilità di opporsi a queste decisioni.
Nonostante i suoi sforzi per segnalare la pericolosità di Mohamed, le autorità non sembrano prendere sul serio le sue preoccupazioni. “Lei è una madre ipertutelante”, le dicono, minimizzando i rischi. Antonella è consapevole che la situazione non è destinata a migliorare e che ogni tentativo di proteggere Federico sembra vano. Alla fine, riesce a ottenere che gli incontri avvengano in una struttura protetta, presso il consultorio dell’ASL di San Donato.
Il 25 febbraio 2009, Federico viene prelevato da scuola e accompagnato all’incontro con Mohamed. Nonostante le sue proteste, “Mamma non voglio”, la madre cerca di rassicurarlo dicendo che “andrà tutto bene”. Purtroppo, la situazione degenera rapidamente: dopo pochi minuti, un colpo di pistola risuona nella stanza. Federico viene colpito e accoltellato con 37 fendenti dal padre, che poi si suicida. Antonella si ritrova a dover affrontare la perdita del suo bambino, baciandolo per l’ultima volta e realizzando i sogni che non potranno mai avverarsi.
In seguito a questa tragedia, gli assistenti sociali e l’educatore coinvolti nel caso vengono assolti, ritenuti non responsabili per l’accaduto. Antonella esprime il suo dolore e la sua frustrazione: “Di chi è oggi la colpa di quello che è successo a mio figlio?” Al processo, le è stato suggerito di fuggire all’estero, un’opzione che l’avrebbe esposta ad accuse di sottrazione di minore.
Oggi, Antonella riflette sulla sua esperienza e sul fatto che nessuno ha pagato per la morte di Federico. La sua indignazione è rivolta anche alla teoria dell’alienazione genitoriale, che continua a mettere in discussione la competenza delle madri vittime di violenza. Per trasformare il suo dolore in azione, ha fondato l’associazione Federico nel cuore, dedicata a sostenere altre donne in situazioni simili e a prepararle ad affrontare le sfide delle separazioni da partner violenti.
La storia di Federico Barakat mette in luce le gravi lacune nella protezione dei minori in contesti familiari complessi e solleva interrogativi sulla responsabilità delle istituzioni nel garantire la sicurezza dei bambini. La tragica fine di Federico non deve essere dimenticata, e il lavoro di Antonella attraverso la sua associazione rappresenta un passo importante nella lotta contro la violenza domestica e per la protezione dei più vulnerabili. La sua esperienza serve da monito per migliorare i sistemi di protezione e prevenzione, affinché tragedie simili non si ripetano.
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