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Bambino di due anni obbligato a rovistare nei rifiuti per mangiare: genitori a processo



Un uomo di 47 anni e una donna di 33, entrambi appartenenti alla comunità rom, si trovano ad affrontare un processo per maltrattamenti nei confronti del loro figlio di poco più di due anni. La decisione di rinviare a giudizio è stata presa dal gup del Tribunale di Roma, Gaspare Sturzo. Le indagini hanno rivelato che i genitori costringevano il bambino, ancora in fasce, a rovistare tra i rifiuti alla ricerca di cibo e, nel caso non trovasse nulla, a digiunare.



La situazione è degenerata quando i genitori hanno deciso di abbandonare il bambino presso gli uffici dei servizi sociali del I Municipio, dopo aver appreso che il piccolo soffriva di un ritardo cognitivo. Da quel momento, il bambino è stato definitivamente sottratto alla custodia dei genitori. La vicenda risale all’inizio del 2018, ma il processo è solo ora giunto in tribunale.

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, i genitori avrebbero costretto il loro figlio a cercare cibo nei cassonetti, dove il bambino veniva calato dalla madre per rovistare tra i rifiuti. Quando è stato abbandonato, il piccolo non solo era denutrito, ma versava anche in condizioni igienico-sanitarie estremamente precarie. La decisione di abbandonarlo è stata presa dopo la scoperta del ritardo cognitivo.

Le indagini hanno messo in luce un quadro allarmante, in cui il comportamento dei genitori avrebbe esposto il bambino a gravi pericoli, potenzialmente letali. Tuttavia, la difesa degli imputati sostiene che le prove a carico di entrambi non siano sufficienti a dimostrare le gravi accuse mosse contro di loro. Pur ammettendo le difficili condizioni di vita della famiglia, la difesa contesta la gravità delle condotte addebitate.

La vicenda ha suscitato un ampio dibattito sull’importanza della protezione dei minori e sull’intervento delle autorità competenti in situazioni di degrado e maltrattamento. I servizi sociali hanno svolto un ruolo cruciale nella salvaguardia del bambino, sottraendolo a un ambiente potenzialmente dannoso. La scelta di abbandonarlo presso gli uffici dei servizi sociali è stata interpretata come un atto di resa da parte dei genitori, che hanno riconosciuto di non essere in grado di prendersi cura del loro figlio.

Le testimonianze raccolte durante le indagini hanno rivelato che il bambino era costretto a mangiare ciò che trovava nei rifiuti, un comportamento che ha sollevato preoccupazioni tra i vicini e le autorità. I dettagli emersi dalle indagini hanno evidenziato un quadro di maltrattamenti sistematici, con il bambino costretto a vivere in condizioni di estrema privazione.

Ora, con il processo che si avvicina, la comunità attende di conoscere l’esito di questa drammatica vicenda. Gli avvocati della difesa dovranno affrontare le prove presentate dall’accusa, che hanno portato a un rinvio a giudizio. La questione centrale rimane se le condizioni di vita dei genitori possano giustificare le loro azioni o se, al contrario, debbano essere ritenuti responsabili delle gravi violazioni dei diritti del minore.

Il caso di Roma mette in luce la necessità di un intervento tempestivo da parte delle autorità competenti in situazioni di maltrattamento e degrado. La protezione dei minori deve essere una priorità, e le istituzioni devono garantire che i bambini vivano in ambienti sicuri e protetti.

Con l’avvio del processo, si spera che vengano fornite risposte chiare e che si faccia giustizia per il bambino, che ha già subito troppo. La comunità rimane in attesa di sviluppi, mentre il caso continua a sollevare interrogativi sulla responsabilità dei genitori e sul ruolo delle istituzioni nella protezione dei più vulnerabili.



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