Un pomeriggio di manifestazioni a Milano in solidarietà con la causa palestinese si è trasformato in una lunga giornata di violenza che ha coinvolto centinaia di persone e messo sotto pressione le forze dell’ordine. Gli scontri, partiti dalla zona della Stazione Centrale, hanno ricordato, per intensità e caos, episodi che la città non viveva dai giorni più difficili della protesta dei black bloc durante l’inaugurazione dell’Expo 2015. Ma questa volta lo scenario è apparso diverso: in prima linea non c’erano leader riconoscibili né organizzatori strutturati, bensì gruppi spontanei di giovani, molti dei quali definiti “maranza”, che hanno progressivamente preso il controllo della piazza.
Dopo le prime schermaglie all’interno della stazione ferroviaria, la situazione è degenerata rapidamente. I reparti delle forze dell’ordine si sono trovati a fronteggiare una folla eterogenea: studenti, giovanissimi delle periferie, ragazzi di seconda e terza generazione, italiani e stranieri. La Palestina, in molti casi, è apparsa più come un simbolo o un pretesto, mentre a dominare era la rabbia. La “presa di potere” di questi gruppi improvvisati si è notata nel modo di condurre gli scontri, privi di coordinamento e affidati all’istinto: cariche improvvise, lanci di pietre e urla collettive che hanno alimentato per ore la guerriglia urbana.
Il momento che ha segnato la svolta si è consumato quando, dalla coda del corteo, è partito un grido: «Ai treni, ai treni!». Da lì, decine di manifestanti hanno puntato la Stazione Centrale, uno degli snodi ferroviari più importanti del Paese, dando inizio a una serie di scontri che hanno paralizzato il traffico ferroviario e bloccato anche la linea metropolitana.
Alle cinque del pomeriggio, mentre via Vittor Pisani era ormai ridotta a un tappeto di cocci, pietre e lacrimogeni esplosi, un gruppo di manifestanti restava seduto davanti ai cordoni di polizia intonando slogan come «free free Palestine» e «non vogliamo dare armi a Israele». Poco più avanti, altri tentavano di bloccare il traffico in piazza della Repubblica, mentre la città faceva i conti con un bilancio pesante: sessanta agenti feriti, otto persone arrestate dalla Digos, danni per decine di migliaia di euro.
Il corteo era iniziato al mattino, quando migliaia di persone si erano radunate in piazzale Cadorna. I centri sociali e i gruppi pro Palestina avevano dato il via alla marcia, monitorata da un massiccio dispiegamento di polizia, soprattutto attorno alle stazioni ferroviarie per il timore che i manifestanti tentassero di invadere i binari. Ma mentre le forze dell’ordine presidiavano Cadorna, il vero obiettivo si rivelava più avanti: la Stazione Centrale.
Il passaggio in via Turati e in piazza della Repubblica, non lontano dal consolato americano, era già stato segnato da cori come «assassini, assassini», dal lancio di petardi e dal rogo di bandiere di Usa, Nato, Israele e Ue. Ma quando la folla ha puntato verso Centrale, il corteo si è frantumato: antagonisti e gruppi anarchici, secondo le ricostruzioni, si sono ritirati poco prima che esplodesse la fase più violenta, lasciando spazio a giovani incappucciati, vestiti di nero, pronti allo scontro.
All’interno della seconda stazione ferroviaria più grande d’Italia è esploso il caos. Le cariche della polizia, colta inizialmente di sorpresa, hanno cercato di contenere l’onda d’urto, ma la sproporzione di forze e la difficoltà di richiamare rinforzi da fuori città hanno complicato la gestione. Diversi treni sono stati deviati o cancellati, mentre i viaggiatori assistevano increduli a scene di guerriglia nel cuore dello scalo ferroviario.
La risposta delle forze dell’ordine è stata una pioggia di lacrimogeni, lanciati anche nelle strade laterali. Uno di essi ha raggiunto un balcone, innescando un principio di incendio. Dalle finestre degli uffici circostanti, impiegati e residenti assistevano alla scena, mentre i blindati arretravano per contenere la folla e cercare di lasciare che si disperdesse.
Gli scontri si sono protratti per ore tra la Stazione Centrale, piazza Duca d’Aosta e via Vittor Pisani, in un susseguirsi di cariche, barricate improvvisate e sassaiole che hanno trasformato il cuore della città in un campo di battaglia.
Le autorità, al termine della giornata, hanno sottolineato la difficoltà di prevenire una tale escalation. La presenza di gruppi poco identificabili, non riconducibili ai tradizionali antagonisti, ha reso più complesso il lavoro di intelligence. La sensazione, tra gli inquirenti, è che i protagonisti principali degli scontri non fossero i centri sociali storici, ma gruppi sciolti, simili ai “casseurs” parigini, giovani senza una regia precisa ma capaci di alimentare il disordine.
Il giorno dopo resta l’immagine di una città sconvolta da una violenza improvvisa e disorganizzata, capace però di mettere a dura prova la macchina della sicurezza e bloccare uno dei punti nevralgici del sistema ferroviario nazionale. Gli investigatori ora lavorano per identificare i responsabili e capire se dietro la guerriglia ci sia stata una pianificazione o se, come molti temono, si sia trattato di un’esplosione spontanea di rabbia collettiva.



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