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Cimitero di Modena: trasformati loculi vuoti in giacigli per senzatetto, con materassi sotto le foto dei defunti



In un’Italia dove il problema degli affitti sta diventando insostenibile, c’è chi trova riparo in luoghi che non immagineremmo mai. È la storia che arriva dal cimitero Monumentale San Cataldo di Modena, un luogo di riposo eterno trasformato, per alcuni, in un dormitorio di disperazione.



Tra le lapidi, un materasso: la vita (e la sopravvivenza) nei loculi vuoti
Scendendo nel “Sotterraneo N”, tra i freddi marmi e le foto sbiadite dei defunti, la realtà che si presenta è sconcertante: materassi, cuscini e coperte stesi all’interno di loculi vuoti. Accanto, una bottiglia di spumante economico, ultimo barlume di normalità o forse anestetico per una notte di freddo. Qualcuno, quando il buio cala sulla città e la temperatura precipita, infila il proprio corpo in quegli spazi angusti, trasformando una nicchia destinata ai morti in un rifugio di fortuna.

Il cimitero di Modena non è un posto qualsiasi. È un vasto complesso fuori città, un mosaico architettonico che va dalle strutture ottocentesche a quelle razionaliste, che accoglie le spoglie di cittadini comuni e di icone come Enzo Ferrari e il soprano Mirella Freni. Eppure, nonostante questa sacralità, l’accesso notturno è, in modo agghiacciante, semplice. Un cancello in piazza Setti che, anche dopo l’orario di chiusura, cede a una semplice spinta, rendendo il sotterraneo un approdo accessibile per chi non ha altra meta.

Chi sono gli “inquilini” delle tombe? Un identikit della disperazione
Le istituzioni ne sono a conoscenza. Alessandra Camporota, assessora comunale alla Sicurezza, delinea senza veli due dei volti di questa disperazione: un uomo di mezza età originario del Veneto, con problemi di alcolismo, e un nordafricano sulla quarantina, anch’egli in lotta con la dipendenza. «Il punto è che non vogliono saperne di farsi aiutare», spiega l’assessora. Sono fantasmi che rifiutano il sistema, preferendo l’isolamento gelido di una tomba all’accoglienza organizzata.

Una scelta che sconcerta, soprattutto considerando che a pochi passi dal camposanto sorge “Porta Aperta”, un centro di accoglienza con 50 posti letto, pasti caldi e assistenza medica, sostenuto da 700 volontari. «È possibile che quei volti siano passati da noi», riflette il presidente Alberto Caldana, «ma chi lo sa. La scorsa settimana è stata smantellata una tendopoli qui vicino. Se non hai un posto dove andare, qualcosa d’altro devi trovare».

Il paradosso modenese: accoglienza e affitti fuori controllo
Il caso getta una luce cruda sul paradosso sociale di Modena. Da un lato, la città vanta una rete di sostegno e un “piano freddo” attivo. Dall’altro, è strangolata da una crisi degli alloggi che spinge anche chi ha un lavoro regolare verso la marginalità estrema. I sindacati, citati dalla stampa locale, lanciano l’allarme: Modena detiene il triste primato della crescita più alta degli affitti in Italia, con un incremento medio annuo del 31% per le stanze. Un dato che spiega perché nei centri d’accoglienza si trovino non solo migranti, ma anche italiani, intere famiglie con redditi bassi ma regolari, schiacciati dal caro-affitti.

«Vedo spesso delle sagome uscire al mattino presto», racconta una dipendente di un’agenzia funebre lì vicino, con un tono più di compassione che di paura. «Non danno problemi. I tempi però son questi, duri».

Questa vicenda non è solo una notizia di cronaca locale. È il simbolo di un malessere nazionale, l’immagine estrema di come l’emergenza abitativa e la solitudine sociale possano spingere le persone ai margini della società, letteralmente e metaforicamente, tra i morti. Mentre sopra i loro giacigli di fortuna le foto in bianco e nero dei defunti osservano silenziose, il cimitero di San Cataldo racconta una storia dei nostri giorni: quella di un paese dove, per alcuni, trovare un posto al caldo è una battaglia persa in partenza, e l’unico rifugio possibile è un luogo dove la vita non dovrebbe più esistere.



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