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Condanna a 20 anni per la strage di Paderno Dugnano: il giovane uccise la famiglia con 108 coltellate



È stata pronunciata una sentenza di 20 anni di reclusione per il giovane di 18 anni che, nella notte tra il 31 agosto e il 1° settembre 2024, ha brutalmente assassinato i genitori e il fratellino di 12 anni nella loro residenza a Paderno Dugnano. L’omicidio ha avuto luogo dopo una serata trascorsa in famiglia in occasione del compleanno del padre. Il giudice del Tribunale dei Minorenni di Milano ha accolto la richiesta della Procura, che aveva chiesto la pena massima prevista per un minorenne.



La Procura per i Minori di Milano aveva richiesto una condanna a 20 anni, il massimo della pena prevista per minorenni, ridotta di un terzo grazie al rito abbreviato. La legge prevede un massimo di 30 anni per i minorenni, escludendo l’ergastolo. Secondo l’accusa, le aggravanti, compresa la premeditazione, superano il vizio parziale di mente del giovane, confermato dalla perizia dello psichiatra Franco Martelli, che lo descrive come “sospeso tra realtà e fantasia”. La difesa ha sostenuto che il giovane, all’epoca dei fatti, fosse completamente incapace di intendere e volere.

Il legale del ragazzo, Amedeo Rizza, ha espresso il suo disappunto per la sentenza: “Sono rimasto sconcertato, arrivare a 20 anni mi sembra punitivo”, ha dichiarato. Ha sottolineato come la semi infermità mentale del giovane sia stata riconosciuta dai periti del tribunale, che hanno anche concesso attenuanti generiche e legate alla minore età.

Durante l’interrogatorio, il ragazzo ha confessato: “Ai miei genitori dicevo che andava tutto bene, ma da tempo dentro sentivo un malessere”, ha detto. “Ero spesso silenzioso, mi sentivo un estraneo rispetto agli altri. Li vedevo come presi da problemi inutili, li percepivo come meno intelligenti. Spesso non mi trovavo bene durante i loro ragionamenti, mi sentivo diverso anche dai miei amici… è da questa estate che sto male, forse il debito in matematica può avere influito”, ha raccontato. “Volevo cancellare la mia vita di prima. A uccidere ci ho pensato la sera della festa di mio papà, ma non ero convinto. Non ce l’avevo con la mia famiglia. Il problema non erano loro, mi sentivo oppresso e volevo solo essere libero. Nella mia logica credevo che dopo aver fatto una cosa del genere sarei stato più forte nell’affrontare la mia vita, avrei avuto il coraggio di andare lontano”.

La notte dell’omicidio, dopo aver trascorso la serata in famiglia per festeggiare il compleanno del padre e aver giocato alla Playstation con il fratellino, il giovane ha deciso di agire. Ha colpito prima il fratello mentre dormiva, poi la madre, intervenuta per soccorrerlo. Infine, ha ucciso il padre. Subito dopo gli omicidi, ha chiamato i carabinieri e si è consegnato spontaneamente, ancora coperto di sangue. Ha confessato: “Li ho uccisi tutti io”.

La comunità di Paderno Dugnano è rimasta sconvolta dalla tragedia. Il caso ha sollevato molte domande sul benessere mentale dei giovani e sull’importanza di riconoscere e trattare i segnali di disagio psicologico prima che sfocino in atti estremi.

Il processo ha acceso un dibattito sulla giustizia minorile in Italia e sull’adeguatezza delle pene previste per i reati commessi da giovani in condizioni di semi infermità mentale. Mentre alcuni sostengono che la pena inflitta sia giusta data la gravità del crimine, altri ritengono che si debba considerare maggiormente lo stato mentale del giovane al momento del reato.



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