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Decreto stupro, interviene Giulia Bongiorno: da presidente della Commissione Giustizia dà il via alle modifiche urgenti



Nonostante la procedura accelerata predisposta per portare il disegno di legge in Aula senza modifiche, la maggioranza ha rallentato l’iter chiedendo ulteriori approfondimenti e ottenendo un breve ciclo di audizioni. Il punto critico sembra essere la pena prevista per i casi di minore gravità, riducibile fino a due terzi.



A preoccupare davvero, però, è la definizione di “consenso attuale”, tema su cui molti esponenti della maggioranza manifestano dubbi. Le opposizioni leggono la mossa come un tentativo di affossare il provvedimento. Spiazzati da quella che definiscono una retromarcia “inspiegabile”, i parlamentari di Pd, M5s, Avs e Italia Viva abbandonano i lavori della commissione Giustizia che aveva iniziato la discussione.

Sfuma così la possibilità di ripetere al Senato il voto unanime registrato alla Camera il 19 novembre, proprio in coincidenza con la Giornata contro la violenza sulle donne. E soprattutto si incrina il patto politico tra Meloni e Schlein. “Hanno tradito l’accordo: come possiamo fidarci? Sono dei voltagabbana”, tuona il centrosinistra, accusando la premier di essere stata smentita dai suoi stessi parlamentari.

La segretaria del Pd racconta di aver parlato direttamente con Giorgia Meloni per chiederle di rispettare quanto stabilito, senza però rivelare la risposta: “Chiedetelo a lei”, dice lasciando Montecitorio, dove ha votato il ddl che introduce il reato di femminicidio, provvedimento che ha rischiato a sua volta lo stallo a causa del clima teso.

In serata Meloni celebra l’approvazione della legge sul femminicidio definendola “un importante segnale di coesione politica”. Ma non spende una parola sulle tensioni nate al Senato riguardo alla legge sul consenso.

Il caos esplode infatti nel pomeriggio a Palazzo Madama, durante la commissione Giustizia presieduta da Giulia Bongiorno. La frenata era già nell’aria, complice l’arrivo di email e messaggi indirizzati ai senatori della maggioranza da parte di associazioni ed esperti che chiedono chiarimenti sulla portata del “consenso libero e attuale” nelle dinamiche di violenza sessuale.

La legge approvata alla Camera prevede una pena da 6 a 12 anni per chi costringe, induce o fa subire atti sessuali a una persona senza un consenso espresso, libero e immediato.

Già nella conferenza dei capigruppo l’atmosfera si fa pesante, con il capogruppo leghista Massimiliano Romeo che invoca più tempo per valutare il testo. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, prova a mediare proponendo l’esame in Aula in sede redigente, quindi senza emendamenti, e invita a evitare scontri in un giorno simbolico.

Un’ora dopo, però, la Lega ufficializza le sue riserve, e gli alleati la seguono chiedendo ulteriori consultazioni con esperti. A quel punto le opposizioni abbandonano la commissione in segno di protesta. Bongiorno, prendendo atto della tensione, permette audizioni “mirate e brevi” e garantisce che il ddl andrà comunque avanti, auspicando una conclusione entro poche settimane. “Miglioriamolo insieme — dice — è una proposta nata a sinistra, ma l’impegno è di portarla a compimento e rafforzarla”.

Il nodo politico: l’intervento di Roccella

Nel frattempo il ministro della Famiglia Eugenia Roccella frena ulteriormente, dichiarando che il testo “inverte l’onere della prova” e ribadendo le “forti perplessità” del governo. Dopo la Lega, dunque, anche l’esecutivo mostra di voler riconsiderare la norma sul “consenso libero e attuale”.

Secondo alcuni commentatori, la presa di posizione di Roccella e della maggioranza sarebbe il segno che la mobilitazione contro la legge — alimentata anche sui media di area conservatrice — sta iniziando a incidere, rallentando un percorso che sembrava blindato dall’accordo politico tra Schlein e Meloni.



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