La storia di Vincenzo Lanni, un uomo di 59 anni, rappresenta un drammatico esempio delle sfide legate al reinserimento sociale di individui con un passato violento. Lanni, che aveva cercato di ricostruire la propria vita nella comunità 4Exodus di Villadosia, in Varese, ha visto il suo percorso di riscatto infrangersi in un attimo a causa di un litigio con un educatore. Questo episodio ha riportato alla luce le fragilità di un uomo che, nonostante gli sforzi per superare il suo passato, ha dimostrato quanto sia precario il confine tra libertà e rischio.
La vita di Lanni è segnata da una violenza inaccettabile avvenuta il 20 agosto 2015, quando accoltellò due anziani, Antonio Castelletti e Luigi Novelli, in Alzano Lombardo e Villa di Serio, nel Bergamasco. Le motivazioni dietro questo gesto furono espresse in modo inquietante: “Volevo uccidere perché sono un fallito”. Dopo l’arresto, la giustizia fu severa nei suoi confronti, imponendogli una pena di otto anni di reclusione e tre anni di misura di sicurezza in una struttura psichiatrica.
Nel 2020, dopo un lungo periodo trascorso tra carcere e programmi di recupero, Lanni fu accolto nella comunità 4Exodus, dove iniziò un percorso di reinserimento sociale. Durante il suo soggiorno, sembrava aver trovato una certa stabilità e serenità, tanto da decidere di rimanere anche oltre il termine del periodo obbligatorio stabilito dai giudici. Nel dicembre 2024, il Tribunale di sorveglianza dichiarò che Lanni non era più considerato socialmente pericoloso. Dopo sette anni di pena e due di misura di sicurezza, l’uomo era finalmente libero di scegliere il proprio futuro.
Nonostante la sua condizione di libertà, la comunità di Villadosia continuava ad accoglierlo come ospite volontario, riconoscendo la sua collaborazione e l’assenza di comportamenti aggressivi. Alcuni aspetti della sua personalità erano stati segnalati ai Centri di salute mentale, ma le valutazioni mediche non avevano mai evidenziato segnali allarmanti. Tuttavia, la libertà si rivelò un terreno instabile.
Giovedì scorso, una discussione accesa con un educatore ha segnato una brusca interruzione nel suo percorso. L’équipe della comunità, dopo anni di lavoro e tentativi di supporto, decise di interrompere l’accoglienza, invitando Lanni a rivolgersi ai servizi psichiatrici e offrendogli un accompagnamento. Inizialmente, Lanni accettò la decisione, ma poco dopo, durante il tragitto, abbandonò il veicolo e si allontanò.
Da quel momento, la situazione precipitò. La rabbia, che era stata repressa per anni, si riaccese improvvisamente. Armato di un coltello, Lanni cancellò in un attimo anni di sforzi terapeutici e tentativi di rinascita. Quella che sembrava una storia di riscatto si trasformò nuovamente in tragedia.
In seguito a questi eventi, la Procura di Milano ha avviato un’indagine per comprendere come sia stato possibile che un uomo con un passato così violento fosse stato dichiarato non più pericoloso. La vicenda di Vincenzo Lanni diventa così un simbolo delle difficoltà nel bilanciare il diritto alla libertà individuale con la sicurezza collettiva. Questo caso evidenzia il sottile confine su cui la giustizia si muove, spesso in un equilibrio instabile.



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