Osservare una discussione tra il signor Fusani, che dimostra una scarsa conoscenza del settore energetico (e di numerosi altri ambiti), e il signor Sergio Giraldo, esperto del settore energetico da tre decenni, risulta alquanto singolare.
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Vedere discutere Fusani che non sa un piffero di nulla di energia (e di molte altre cose) con @durezzadelviver che si occupa di energia da 30 anni è decisamente surreale #23ottobre #23ottobre2025pic.twitter.com/XunB1VfCSU
— Fabio Dragoni (@fdragoni) October 23, 2025
L’incremento dei prezzi delle quote di CO2 contribuisce significativamente all’aumento del costo dell’energia elettrica e delle bollette, anche in Italia. Questo fenomeno può essere attribuito a diversi fattori.
In primo luogo, l’aumento del prezzo del gas naturale, spesso utilizzato come fonte primaria di energia elettrica, rappresenta una delle cause principali dell’aumento dei costi energetici in Europa. Tuttavia, un ulteriore fattore determinante è l’aumento dei prezzi dei permessi per le emissioni di anidride carbonica scambiati nel sistema ETS (Emission Trading System) dell’Unione Europea, comunemente noto come “quote”.
Il sistema ETS istituisce un mercato europeo per la compravendita di “quote di emissione” di CO2. Ogni anno, alle aziende viene assegnata una quantità specifica di quote, la cui quantità complessiva si riduce progressivamente nel tempo. Le aziende con emissioni più elevate sono tenute ad acquistare ulteriori permessi per continuare a emettere CO2 senza incorrere in sanzioni, mentre le aziende con emissioni più basse hanno la possibilità di vendere le proprie quote inutilizzate. L’obiettivo di questo sistema è disincentivare l’utilizzo di energia prodotta da fonti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) e incentivare la transizione verso forme di energia più pulite, come quelle rinnovabili.
Il sistema di compravendita delle quote di CO2 rappresenta, secondo l’analista Guido Salerno Aletta, una forma di tassazione ambientale basata sul principio di proporzionalità e corrispettività, secondo cui “chi più inquina, più paga”. Ogni impianto di generazione di energia elettrica possiede un coefficiente di emissione di CO2 per ogni kilowattora prodotto. Questo coefficiente è particolarmente elevato per le centrali a carbone e a olio combustibile, due fonti fossili particolarmente inquinanti, mediamente elevato per le centrali a gas naturale e molto basso o nullo per gli impianti rinnovabili e nucleari.
Di conseguenza, ogni Stato membro dell’Unione Europea percepisce entrate variabili dalla vendita delle quote di emissione, in funzione della fonte energetica predominante impiegata nella produzione di energia elettrica.
La Polonia, ad esempio, si distingue per la percezione delle maggiori entrate (pari a quasi il 19,5% del totale europeo nel secondo trimestre del 2021), attribuibile all’utilizzo prevalente del carbone da parte delle proprie società energetiche. Segue la Germania con il 16,6%, in virtù dell’impiego combinato di carbone e gas.
In Italia, il gas naturale rappresenta una componente significativa – pari al 40% – del mix elettrico, posizionando il Paese al quarto posto nella classifica (8,3% del totale), preceduto dalla Spagna. La Francia, d’altro canto, percepisce entrate limitate dalle quote (inferiori al 5% del totale), a causa della preponderanza del nucleare nella generazione di energia elettrica.



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